Credevamo, intimamente speravamo, che il Presidente della Repubblica potesse dare un ultimo segnale di esistenza in vita istituzionale. Ma il suo discorso di ieri sera, è stato la logica conclusione di un annus horribilis (e di un settennato), trascorso col silenziatore incorporato. Colti da un attacco di panico, quando le parole di Giorgio Napolitano ci sono sembrate più quelle di Benedetto XVI che le sue, siamo ritornati in noi nel momento in cui lo spottone pro-Monti è diventato palese e il Professore è assurto a “patrocinatore di una nuova entità politica”, magari destinata a cambiare, come chi scende in campo per salvare questo paese, i destini di una nazione alla deriva. Ci vorranno anni per storicizzare il mandato di Giorgio Napolitano, per dargli un giudizio che non tenga conto dei silenzi e delle firme messe un po' dovunque, a babbo morto o per paura di valanghe mediatiche non di neve e ghiaccio, ma di guano e fango. Ci vorranno anni, non solo per approfondire degnamente l'operato del presidente della repubblica, ma anche per inquadrarlo nel contesto più ampio di un ventennio che ha distrutto questo paese fino a farlo diventare la Cenerentola del mondo, irrisa per essere sempre stata prona ai desideri e alle voglie degli altri, si chiamassero essi Putin o Gheddafi. Le discese in campo, per giocare una partita che non si sa dove ci porterà e come finirà, di Grasso e di Ingroia, di Grillo e di Monti, di Ulivieri e di Mucchetti, ci ricordano il periodo dei Gerry Scotti, dei Gino Paoli e degli Enrico Montesano così come dei Brunetta e della salviddio Maria Stella Gelmini, un gruppo di quattro amici al bar dello sport che partono lancia in resta e finiscono disarcionati alla prima siepe. Non sarà l'Agenda Monti a salvare una nazione saldamente in mano alle Olgettine. Né il passo indietro di D'Alema e di Veltroni (in attesa di essere riciclati magari dall'Onu), contribuirà a farci guardare al 2013 con occhiali diversi. La tentazione di dire che questo è un Paese irrimediabilmente perduto, è prepotente. Ma non vediamo, davvero, chi e come potrebbe farci riscoprire di essere la nazione che ha il 75 per cento del patrimonio culturale mondiale. Frasi sciocche e fatte, le nostre, perfino qualunquiste, ma se gli impegnati a fare politica come una missione si chiamano Fini e Casini, Monti e Bersani, Berlusconi e Maroni, preferiamo indossare il nostro qualunquista cappotto gogoliano e andarcene vagabondi per il mondo. Magari in compagnia di Rascel e di un corazziere di un metro e cinquanta d'altezza, pronto a chiedere l'elemosina per noi.
Magazine Politica
Il discorso del Pensator Silente. L'ultimo annus horribilis in decade malefica.
Creato il 01 gennaio 2013 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Credevamo, intimamente speravamo, che il Presidente della Repubblica potesse dare un ultimo segnale di esistenza in vita istituzionale. Ma il suo discorso di ieri sera, è stato la logica conclusione di un annus horribilis (e di un settennato), trascorso col silenziatore incorporato. Colti da un attacco di panico, quando le parole di Giorgio Napolitano ci sono sembrate più quelle di Benedetto XVI che le sue, siamo ritornati in noi nel momento in cui lo spottone pro-Monti è diventato palese e il Professore è assurto a “patrocinatore di una nuova entità politica”, magari destinata a cambiare, come chi scende in campo per salvare questo paese, i destini di una nazione alla deriva. Ci vorranno anni per storicizzare il mandato di Giorgio Napolitano, per dargli un giudizio che non tenga conto dei silenzi e delle firme messe un po' dovunque, a babbo morto o per paura di valanghe mediatiche non di neve e ghiaccio, ma di guano e fango. Ci vorranno anni, non solo per approfondire degnamente l'operato del presidente della repubblica, ma anche per inquadrarlo nel contesto più ampio di un ventennio che ha distrutto questo paese fino a farlo diventare la Cenerentola del mondo, irrisa per essere sempre stata prona ai desideri e alle voglie degli altri, si chiamassero essi Putin o Gheddafi. Le discese in campo, per giocare una partita che non si sa dove ci porterà e come finirà, di Grasso e di Ingroia, di Grillo e di Monti, di Ulivieri e di Mucchetti, ci ricordano il periodo dei Gerry Scotti, dei Gino Paoli e degli Enrico Montesano così come dei Brunetta e della salviddio Maria Stella Gelmini, un gruppo di quattro amici al bar dello sport che partono lancia in resta e finiscono disarcionati alla prima siepe. Non sarà l'Agenda Monti a salvare una nazione saldamente in mano alle Olgettine. Né il passo indietro di D'Alema e di Veltroni (in attesa di essere riciclati magari dall'Onu), contribuirà a farci guardare al 2013 con occhiali diversi. La tentazione di dire che questo è un Paese irrimediabilmente perduto, è prepotente. Ma non vediamo, davvero, chi e come potrebbe farci riscoprire di essere la nazione che ha il 75 per cento del patrimonio culturale mondiale. Frasi sciocche e fatte, le nostre, perfino qualunquiste, ma se gli impegnati a fare politica come una missione si chiamano Fini e Casini, Monti e Bersani, Berlusconi e Maroni, preferiamo indossare il nostro qualunquista cappotto gogoliano e andarcene vagabondi per il mondo. Magari in compagnia di Rascel e di un corazziere di un metro e cinquanta d'altezza, pronto a chiedere l'elemosina per noi.
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