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Trama semiseria1925. Il figlio di Giorgio V d’Inghilterra, incaricato di fare un discorso pubblico a Wembley, si blocca e non riesce a parlare frenato dalla sua balbuzie. La moglie allora gli ingaggia un coach per aiutarlo a risolvere questo problema, un po’ come accade con i trainer di Mtv Made che in due mesi trasformano un caso umano nel più figo del liceo. Tutto risolto in fretta come nel programma tv? Non proprio: gli anni passano, il guaio permane e quando tocca a lui salire sul trono come Giorgio VI non può proprio farlo da balbuziente. Ah, nel frattempo l’Inghilterra scende in guerra contro la Germania di Hitler, ma questo in confronto alla drammatica balbuzie del re sembra davvero non fregare niente a nessuno…
Recensione cannibalePuò bastare una storia carina a fare un buon film? Direi proprio di no. Soprattutto se la storia in questione è sì curiosa, ma ha anche alcuni risvolti tragicamente ridicoli. La balbuzie è sì un problema non da poco, così come il parlare di fronte a una grande folla è una cosa di cui io stesso ho un gran terrore. Però in quel periodo accadevano anche cose un tantino più preoccupanti di questa. Quali? Il nazismo, ad esempio. Si dirà allora che questa è più che altro una commedia, peccato non faccia molto ridere, ma fino a che i toni rimangono leggeri le cose funzionano ancora. Le note dolenti arrivano quando questa vicenda viene trattata con solennità e drammaticità mentre, soprattutto se vista all’interno del contesto dello scoppio di una guerra mondiale, appare piuttosto irrilevante per non dire idiota.
Nonostante questo, Il discorso del re ha avuto 12 nomination all’Oscar e sembra il principale concorrente a The Social Network per salire sul trono di film re dell’annata. Perché? Davvero difficile da spiegare, se non per la passione dell’Academy a film storici di una noia mortale come Il paziente inglese o Shakespeare in Love, una passione che negli ultimi tempi sembrava essersi esaurita ma che questo The King’s Speech ha riacceso alla grande.Mentre alcuni film storici attraverso il passato ci aiutano a capire quello che sarebbe successo dopo, vedi Il nastro bianco di Haneke tanto per dire una pellicola ambientata all’incirca in quel periodo, Il discorso del re sembra invece una storia del tutto scollegata da qualunque collegamento all’attualità. Si può fare eccezione per la vicenda di Edoardo VIII, il re che decide di abdicare in favore del fratello per via di uno scandalo sulla sua vita privata, cosa che a noi italiani può far venire in mente un collegamento con Berlusconi che ad “abdicare” non ci pensa proprio qualunque vicenda lo travolga. Ma questo non credo fosse certo nelle intenzioni della pellicola inglese. Al di là del fatto che cinematograficamente The Social Network è una pellicola di ben altro (e alto) livello, c’è anche da chiedersi quindi se sia più giusto premiare un film che riesce a parlare alla grande della vita di oggi oppure una storiella nel passato della monarchia inglese che poco o nulla a che fare con il presente.Davvero senza senso poi il fatto che la regia professionale ma anche pomposa e priva di personalità di Tom Hooper sia stata preferita a quella del Christopher Nolan di Inception. Bah.
Bene il cast, ma niente per cui strapparsi i capelli: Colin Firth nel rendere il balbuziente Giorgio VI vince una sfida difficile e quasi certamente vincerà anche l’Oscar, ma allo stesso tempo non è uno di quei ruoli che lasciano un segno nella storia del cinema e lo stesso Firth ha fatto secondo me di meglio in A Single Man. Davvero ottima Helena Bonham Carter nei panni della moglie, così così il sopravvalutato Geoffrey Rush nei panni del logopedista, l’uomo che cerca di aiutare il principino inglese con metodi poco ortodossi (ma nemmeno troppo) a ritrovare la sua voce. Tutto questo, ricordo, mentre nel resto del mondo succedeva una cosa da niente chiamata Olocausto, ma volete mettere con i problemoni di Giorgio VI che deve fare un discorso di ben 2 minuti alla radio?
A tratti sul noioso e sull'odioso andante, Il discorso del re non è nemmeno un bruttissimo film, però dopo aver visto tutte e 10 le pellicole candidate all’Oscar posso dire che questa è di gran lunga quella che mi ha convinto di me. È solo una storiella curiosa raccontata in maniera troppo enfatica che nel finale assume contorni alquanto grotteschi e al limite del ridicolo. All’Academy però amano le storie ruffiane, vedi Forrest Gump, un buon film che però proprio non reggeva e non regge tutt’oggi il confronto con quella pietra miliare di Pulp Fiction. Ma agli Oscar indovinate chi fu a trionfare? E comunque questo discorso del re non vale nemmeno la metà di Forrest e inoltre, dopo lo sguardo originale proposto da Sofia Coppola con il suo Marie Antoinette, rigetta il genere storico concettualmente indietro di decenni, per non dire secoli.In un’annata strepitosa per il cinema americano come non capitava da anni, con grandissimi film come Black Swan, The Social Network, Inception e Winter’s Bone, vogliamo davvero dare l’Oscar a un film che più che la definizione di “classico” merita quella di “antico” e che sembra furbescamente pensato per vincere… l’Oscar?Mmm, temo che andrà a finire proprio così.(voto 5,5)
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