Il discorso di Berlusconi in Senato

Creato il 13 dicembre 2010 da Bracebracebrace

La realtà parallela di Silvio Berlusconi

«Il mio rispetto per le Camere mi impone di aprire queste brevi considerazioni nell’interesse superiore della democrazia». Chissà chi li scrive i discorsi a Silvio Berlusconi. Il tono solenne, la voce compassata da professore che sa più di quel che dice, il presidente del Consiglio ha suonato la sua pifferata ai senatori vestendo i panni di un Giolitti o di un Depretis, grande uomo di stato che conosce il bene del Paese e lo difende nonostante la tempesta politica scatenata da intrigatori irresponsabili.

Berlusconi cerca la fiducia in Senato (foto Corriere della Sera)

Il resto del discorso, nonostante il registro aulico, è di basso profilo concettuale e politico. Ma la voce, quella sembra ribadire pericolosamente un incantesimo che ha tenuto in scacco l’Italia negli ultimi vent’anni, tanto che suona molto convincente quando si appella all’articolo 1 della Costituzione: «La sovranità appartiene al popolo», e sembra proprio che sia sempre stato il suo popolo, quello delle Libertà. «Bisogna tornare alle urne», insiste, e occorre uno sforzo per ricordarsi che la carta del ’48 continua dicendo «…che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», ovvero secondo gli equilibri e i poteri di una repubblica parlamentare.

Sottigliezze, che non cambiano il potere d’incantesimo del discorso. Ovviamente basato, se analizzato lucidamente, sulla pura menzogna. «Ecco perché l’Italia oggi ha bisogno di tutto tranne che di personalismi», si azzarda a dire un uomo che sta facendo di un passaggio parlamentare un referendum sulla sua persona. «La legge di stabilità protegge con maggiore efficacia i conti pubblici e il bilancio dello stato, e quindi il nostro lavoro, e quindi le nostre imprese, i redditi e risparmi delle famiglie, le pensioni, i servizi sociali, l’istruzione e la ricerca». Un discorso ai limiti della psichedelia, che disegna un Paese parallelo.

Scompare in pochi secondi l’Italia che ha l’evasione fiscale più alta d’Europa, che soffre lo smantellamento delle sue utlime industrie, l’impoverimento generalizzato e le difficoltà delle famiglie; scompare l’Italia degli studenti e dei ricercatori che salgono sui tetti, degli immigrati che salgono sulle gru e sulle torri delle fabbriche dismesse, dei poliziotti che protestano alle porte della villa di Arcore; scompare il Veneto alluvionato senza più un soldo per le sue imprese, e anche il centro fantasma della città dell’Aquila e la nostra Napoli sommersa dai rifiuti, che certo non sono fiori all’occhiello di una «grande e ordinata democrazia».

Ma il Paese inesistente di Silvio Berlusconi non è meno reale di quello che tutti conosciamo. È realizzato dal semplice potere delle sue parole, dal potere creativo della menzogna, ribadita dalla pedana e dallo scranno di un presidente del Consiglio. Avrà un peso, nonostante l’evidenza dei fatti sia contro di lui. I suoi avversari dovranno comunque arrancare per tentare di dimostrare il contrario e raddrizzare il mondo capovolto, e non è detto che ci riusciranno. Silvio Berlusconi ha sempre ribaltato le crisi a suo favore. Ha sempre cambiato le regole del gioco durante la corsa e usato ogni mezzo per vincere. Le poche volte che stava per annegare, ha afferrato la mano tesa da qualcuno per rialzarsi scaraventando in acqua i suoi soccorritori.

Anche se dovesse perdere, per pochi voti o per molti nonostante la compravendita di deputati, ha risorse che gli avversari politici forse non contemplano: il golpe e i brogli elettorali. Per questo fa paura il suo discorso, per quanto folle, per quanto spudoratamente falso, perché l’opposizione e l’area di Gianfranco Fini non hanno ancora capito, dopo quindici anni, che Berlusconi va eliminato dalla scena politica senza paura di affondare la spada, con ogni mezzo lecito e non lecito, escluso per sempre dalla democrazia del nostro Paese.

Per far riemergere al più presto l’Italia vera, schiacciata dal peso di quella inesistente del Popolo delle Libertà, che rischia ogni giorno di più di esplodere e investire tutti.

Andrea Tornago


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