Partiamo dalla domanda scontata, per chi si trovasse a leggere l’intervista non conoscendovi. Chi è “Il disordine delle cose”?
Emanuele: È molto difficile autodefinirsi, mi spiazzi già con la prima domanda (ride ndr). Diciamo che siamo una band presente sul panorama musicale dal 2009, che è anche l’anno in cui abbiamo pubblicato il nostro primo disco. Il disordine delle cose era il titolo di un primissimo ep che avevamo composto e ci ha suggerito un percorso sia musicale che lirico che, da allora, abbiamo seguito. È anche un “concetto” che ci rappresenta molto e quindi è diventato in modo decisamente naturale il nostro nome. Da allora abbiamo fatto due dischi e davvero moltissimi concerti in tutta Italia. Per il resto è davvero molto difficile, come dicevo, autodefinirsi. Siamo sei amici con influenze e culture musicali molto diverse per certi aspetti. Andiamo dai Beatles ai Radiohead, passando per la musica italiana… Insomma apprezziamo più di sessant’anni di musica e in mezzo c’è veramente di tutto. Il miscuglio di queste influenze e delle nostre vite ed esperienze è sintetizzato nelle cose che proviamo a scrivere.
“Tutto ci sembra caotico tranne il nostro disordine.” diceva Dàvila. Ma il disordine delle cose riflette un disordine della vita, che quindi vi spinge alla continua ricerca, oppure il disordine delle cose paradossalmente crea ordine?
E: Qui si apre un mondo! Il nostro disordine, a livello di tematiche, è un disordine interiore e nella nostra musica cerchiamo di raccontare l’affannoso tentativo che ognuno di noi fa per riordinare pezzo dopo pezzo la propria vita. Se l’ordine è pura matematica, ovvero un semplice algoritmo che permette immediatamente di dire che una determinata cosa ricopre quel determinato posto allora il disordine rappresenta l’inaspettato e, in un certo senso, la creatività, la sorpresa. Osservare il disordine, in un qualche modo, è anche un processo di conoscenza senza particolari vincoli. Qualcosa di molto infantile che nasce dalla pura curiosità, senza suggerimenti e senza indicazioni. Il processo di apprendimento ad ogni modo, come dici tu, è un tentativo molto umano di dare una collocazione, di schematizzare e quindi anche di “ordinare”. In effetti Dàvila centra il punto in quelle poche parole: caos e disordine sono cose diverse. Il caos è l’incapacità di prevedere, il disordine è qualcosa che non rientra in uno schema predeterminato.
Dopo la domanda marzulliana di prima, andiamo più sul semplice. Se fosse dei critici musicali, come descrivereste la vostra musica?
E: È sempre più difficile autodefinirsi (ride, ndr). Cerchiamo di dare molta importanza alla parte autorale delle nostre canzoni. I testi e la loro scrittura hanno un ruolo fondamentale nella nostra musica. La parte strumentale si appoggia alle parole cercando di descrivere e accompagnare i testi con arrangiamenti a volte anche complessi. Ci piace pensare che la nostra musica sia, in un certo senso, cinematografica e che evochi una serie di immagini. Nel finale di “Autunno” ad esempio abbiamo cercato di rendere un’esplosione che, nelle nostre teste, lancia in alto una foglia per farla cadere nella parte finale del brano planando e ondeggiando sulle note fino a toccar terra. Insomma interpretiamo un concetto con parole e musiche. Dal vivo molti ci descrivono come un gruppo in grado di creare momenti molto intensi, spesso evocativi, e questo ci piace e ci inorgoglisce molto.
Tra l’altro ho letto che l’ultimo vostro disco è stato registrato in Islanda, ed effettivamente si possono ritrovare nei brani le tipiche sonorità nordiche, oltre al titolo di uno dei brani, ossia “Moesfellsbaer“, e la partecipazione del quartetto d’archi islandese delle Amiina. Ecco, da dove nasce l’idea, e forse l’esigenza, di andare in una terra tanto lontana? E quanto, di tutta questa esperienza, porterete sempre con voi?
E: L’esperienza islandese è stata davvero incredibile. La scelta di andare lassù è stata molto naturale. Stavamo preparando i brani e ci siamo accorti di voler approfondire certe atmosfere e sonorità tipiche del nord europa. Le scelte di arrangiamento prevedevamo harmonium, metallofoni, celesta e così via. Innanzitutto sono strumenti che difficilmente sono reperibili negli studi nostrani, ma anche l’idea di vivere quelle terre i cui suoni ci stavano ispirando ci appassionava molto. Così abbiamo scoperto l’esistenza dello Studio di Biggi (Birgir Jòn Birgisson, ndr) e appena l’abbiamo visto ce ne siamo innamorati. Di fatto quello è lo studio e sala prove dei Sigur Ros, il posto dove loro scrivono e preparano i brani. Solo a dirlo si capisce quanto possa essere accattivante e stimolante fare un disco lì. Perciò li abbiamo contattati e ci hanno dato, dopo aver ascoltato i provini, la loro disponibilità. Una serie di coincidenze ci ha poi permesso di ritrovarci lì ad agosto e di registrare interamente il disco in due settimane.
Quei posti, quei paesaggi e le atmosfere che si respirano li hanno profondamente influenzato i brani, nonostante fossero già pronti e arrangiati. Certo, non siamo andati li per modificare la nostra musica, ma solo per impreziosirla. Qualcuno ci ha chiesto se volessimo essere i Sigur Ros italiani. La risposta è indubbiamente no. Facciamo cose che sono lontanissime da loro. A noi piace pensare di aver portato in Islanda un po’ del nostro modo (molto italiano) di scrivere canzoni e di aver riportato a casa immagini, suoni e ispirazioni di una terra che ha un respiro decisamente dilatato.
Questo mi porta a chiedervi: che rapporto avete con l’Italia, specie in un periodo storicamente difficile come questo?
E: L’Italia è una terra splendida. Il periodo storico è sicuramente particolare e particolarmente difficile. D’altra parte abbiamo una storia, una cultura, una predisposizione all’arte che è, nel suo genere, unica. Ecco io penso che tutto stia nella parola “nel suo genere”. Dobbiamo essere molto consapevoli che fuori dai nostri confini c’è un mondo pieno di spunti che dobbiamo essere in grado di interpretare e riportare da noi. Fare musica in Italia, ad esempio, è molto difficile. Non ci sono spazi, la confondiamo troppo spesso con l’intrattenimento, non ci sono strutture educative adeguate e, in una parola, manca un po’ di cultura. Per noi questo è davvero un peccato, soprattutto perché pensiamo che l’arte e la musica in particolare abbiano un valore molto più che culturale (che già di per sé basterebbe), ma anche sociale e storico.
Ascoltando il vostro disco “La giostra”, mi sono perso nelle atmosfere che avete creato, ed inevitabilmente ho pensato che suonasse come la colonna sonora di tanti film. Personalmente mi sono venuti in mente diversi titoli. Anche se magari non ci sono delle reali affinità musicali, ora penso a qualche film di Aronofsky (colonne sonore di Clint Mansell), o all’indipendente “Catch 44“ (colonna sonora in cui troviamo qualche brano de “The Raveonettes” ), o “La mia vita è uno zoo” (Colonna sonora dei Sigur Ros). Secondo voi, il vostro album di che film potrebbe essere colonna sonora?
E: Così, su due piedi, mi viene in mente “Solaris” di Andrej Tarkovskij. È un genere molto distante da noi, ma si tratta a nostro avviso di un capolavoro molto bistrattato. Ci sta innanzitutto simpatico per essere un po’ come la risposta sovietica a “2001 Odissea nello spazio” (ride, ndr). Ammettiamolo è un bel polpettone, ma è un po’ un viaggio filosofico nelle terre della mente e dello spazio. Le sue atmosfere ci avrebbero potuto ispirare molto. “Catch 44“, invece, non l’ho mai visto, credo che sarà presto sul mio schermo!
Prima di continuare il nostro percorso nel cinema, io come sempre approfitto per chiedere della canzone che mi ha permesso di conoscervi. Come si suol dire, il primo amore, in questo caso la prima canzone, non si scorda mai. Mi parlate di “L’altra metà di me stesso“?
E: È uno dei brani a cui siamo più affezionati. Fa parte del primo disco, come saprai, ed è stato impreziosito dalla partecipazione di Carmelo Pipitone (chitarrista dei Marta Sui Tubi, ndr). Parla dei molti volti che caratterizzano una persona e soprattutto delle molte sfaccettature che mettiamo troppo spesso in campo nelle relazioni personali. È una richiesta, forse vana, di sincerità che facciamo a noi stessi. A volte infatti vorremmo essere diversi, ma presa coscienza di sé non resta altro che ammettere la propria natura spogliandosi dalle maschere che spesso indossiamo.
Ecco, prima che mi faccia prendere da altri egoismi, torniamo al discorso cinema. Domanda flash: mi fate una top three dei film più belli che vi vengono in mente ed una Top Three Horror, ossia i film più brutti che avete mai visto?
E: Ah! Fuori concorso come premio del pubblico voterei “Quattro carogne a malopasso” che è stata la colonna visiva del nostro viaggio in islanda (ride, ndr). Nella top tre penso a Terry Gilliam, “Brazil“; “Giù la testa” di Sergio Leone e, forse, “Il Grande Lebowski” dei fratelli Coen. La farei volentieri una cena con loro quattro (ride, ndr).
Luca: La mia personale classifica invece potrebbe essere questa: “La vita è bella” di Roberto Benigni, “La finestra sul cortile” di Hitchcock e “Ricomincio da capo” di Ramis. I film peggiori, invece, che mi vengono in mente sono “The Beach“, “Fast and Furious” e “Scary Movie“!
E: Il peggio del peggio che mi viene in mente in questo momento è la fiction sui promessi sposi, quella degli anni ottanta, per intenderci. Tremenda, anche se non è un film merita una citazione. Un film che mi ha deluso potrebbe essere “Amabili Resti” di Peter Jackson.
Domanda classica, che è il marchio di fabbrica delle nostre interviste. Qual’è l’ultimo film che avete visto e, in anteprima per “Il dormiglione”, ci fate una recensione con tanto di voto?
L: “Mullholland Drive“: Un misterioso ed enigmatico David Lynch costruisce un film con una potenza visiva che lascia lo spettatore incollato cercando di cogliere il filo logico del lungo metraggio. Psichico e psichedelico ricco di simboli e indizi tra Noir ’40 e Road Movie , perverso, in questo film ci sono tutte le nostre ossessioni , le nostre paure, i nostri peggiori incubi! Se dovessi abbinare David Lynch e il suo “Mullholland Drive” ad un genere musicale sicuramente sarebbe Free Jazz , sembra che a lui non importi niente e quello che fa lo fa per piacere personale. La pellicola finisce con la parola Silenzio e credo che con questo film Lynch ha azzittito tutti lasciandoli a bocca aperte con un retro gusto di sballamento lisergico. Da vedere e rivedere… Voto : 8,5
C’è un film, nella storia del cinema, che una volta visto ti ha fatto pensare “Avrei voluto farla io questa colonna sonora”?
E: In realtà è un documentario, ma è un pezzo importante – a mio avviso – nella storia del cinema come forma d’arte evoluta. Si tratta di “Koyaanisqatsi“, un viaggio che inizia con la natura per poi sottolineare freneticamente l’intervento dell’uomo. La colonna sonora qui ha un ruolo davvero centrale anche per la totale assenza di dialoghi ed è curata da Philip Glass. Si tratta di un’opera molto complessa e sperimentale. Da ascoltare (e vedere).
L: Un mio personalissimo sogno nel cassetto sarebbe stato quello di poter musicare un film di David Linch! “Mullholland Drive” sarebbe stato perfetto! (ride ndr)
Volevo anche chiedervi, ma lo ricordo solo ora, della vostra casa discografica “Cose in disordine”. Quali sono i progetti di questa casa discografica?
E: L’etichetta nasce da un’esigenza tutta nostra. Siamo molto indipendenti nel senso che ci piace fare delle scelte molto personali e risponderne direttamente nel bene o nel male. In questo senso abbiamo fondato la nostra etichetta e l’ultimo disco è una produzione interamente nostra, sia artistica che esecutiva. Siamo molto fieri dei risultati, soprattutto perché il percorso in questo senso è molto difficile. Pensiamo e speriamo prima o poi di poter aprire ad altre proposte non nostre e vicine al nostro modo di intendere e interpretare la musica. Per il momento però facciamo un passo alla volta e navighiamo a vista.
Siamo arrivati alla fine. Io come al solito mi sono tolto le mie curiosità personali e mi sono divertito. Vi ringrazio di cuore per la disponibilità e la pazienza. Progetti per il futuro? Fate un saluto a “Il dormiglione”?
L: Adesso stiamo concludendo la tournée del secondo disco, le prossime sono le ultime date: Lugano, Arezzo, Firenze e altre che non ricordo ma che trovate sul nostro sito www.ildisordinedellecose.it. Intanto stiamo scrivendo il prossimo disco che speriamo di poter far uscire quest’anno. In più stiamo mettendo da parte alcune parti puramente strumentali, abbiamo questa idea in testa di un piccolo ep di colonne sonore per film mai visti.
Grazie Alfredo!