Vi siete mai chiesti che differenze intercorrono tra i Backstreet Boys, Britney Spears, Spice Girls e i più moderni fenomeni pop come Justin Bieber, One Direction e altre baby stars partorite da Disney Channel vari ed eventuali? Io sì. Sono ossessionata dalla comunicazione di massa, dalla pubblicità virale e dalla costruzione del divo.
La correlazione di due fattori è cambiata nell’industria musicale pop (e in tutti gli altri ambiti su cui si ripercuotono gli effetti collaterali ad essa connessi) negli ultimi anni:
- la legittimazione di un nuovo target di consumatori: quelli che oggi vengono chiamati tweens ovvero i preadolescenti (bambini dagli 8 ai 13 anni). I teenager sono stati fagocitati in men che non si dica dal vorace consumismo di massa dagli anni 90′ ad oggi. Questo spiega anche perché l’età media dei “nuovi mostri” pop degli ultimi anni si sia così abbassata (su internet Justin Bieber è soprannominato Justin Biberon)
- L’allargamento del bacino di utenza grazie allo sfruttamento dei nuovi media (in particolare i social network) come strumento privilegiato per la costruzione di campagne mediatiche ad hoc per la fruizione musicale di questi nuovi “idoli”
Cominciamo col dire che la costruzione di questo nuovo target di consumatori è in atto da parecchi anni (più o meno dal 2006, vi ricordate il boom di High School Musical e Hanna Montana?). Un ruolo di rilievo l’ha avuto Disney Channel, i cui prodotti ( scordatevi Topolino e Minni,credetemi) sono diventati sempre più influenti e hanno cominciato a sfornare baby-stars pronte a lanciarsi nel tritacarne dell’industria dell’entertainment.
Il meccanismo è lo stesso con cui operano i talent show: si immettono nuovi elementi nel mercato musicale supportati da un surplus di carica mediatica. Perché surplus? Perché è un quid in più rispetto all’attenzione che riceverebbe un normale esordiente sponsorizzato unicamente dalla pubblicità della casa discografica che ,di solito, punta sia all’aspetto, al look,alla voce dell’artista sia al packaging e alla grafica del prodotto.
Qual è questo quid in più che dà la macchina televisiva all’esordiente? La creazione del personaggio.
Allo stesso modo con cui al cinema ci appassioniamo al protagonista della storia o quando leggiamo un libro tifiamo per l’eroina del romanzo, così quando guardiamo i talent show veniamo rapiti dalla “storie autoriali” dei partecipanti. Cosa sono le storie autoriali? È ingenuo e sciocco credere che i reality si facciano da sé. Sono gli autori a condurre le redini del gioco. Non appena captano l’orientamento simpatizzante del pubblico verso particolari tematiche (problemi in famiglia, caratteri ribelli, sensibilità spiccata, nascenti love-story, carisma di particolari concorrenti ecc..) cercano di creare dinamiche, dibattiti, flames, insomma vere e proprie storie, narrazioni che hanno il preciso scopo di impietosire il pubblico, di attivare i processi di immedesimazione e supporto. Esattamente gli stessi meccanismi della finzione artistica. Solo un po’ più kitsch e più funzionali al marketing (c’è il televoto, cari miei!).
La tv ci permette di vivere i sogni degli altri e per un po’ ci fa credere che le favole esistono. I reality show hanno successo perché ci illudono che il merito,il talento siano destinati a trionfare ma chiaramente non è così. Un sistema che ogni anno “fabbrica” (nel senso più artificiale del termine) un numero spropositato di nuove stelle è destinato a collassare,non si regge su se stesso. Ci sono troppi personaggi da seguire. E questo è il motivo per cui il 90 % degli artisti che partecipano a questi show vengono masticati e risputati dal sistema quando non servono più,finendo nel dimenticatoio a cui sono destinate le meteore.
La differenza più profonda con i colossi del pop anni 80′-90′ è il fatto che non si percorre più la lunga e faticosa strada della gavetta che hanno fatto anche le boy-band più mediocri. Mesi fa ho visto uno special di mtv sui Backstreet Boys (solo uno spezzone,tranquilli) e sono rimasta incredula nel constatare che il loro successo è stato costruito per lo più grazie ai tour nelle scuole popolate da brufolosi liceali o nei centri commerciali alla Lizzie Mcguire. Idem Britney Spears che è diventata famosa dopo comparsate in spettacoli teatrali e concorsi canori. Insomma era il talento (o qualsiasi fattore X che il pubblico riconosceva nell’artista) che causava la notorietà.
La realtà di oggi è lontana anni luce da questi meccanismi. È la notorietà che genera e giustifica il talento, non il contrario. È il personaggio che uccide l’artista.
Fin ora abbiamo parlato dei processi televisivi come protagonisti della costruzione dei nuovi divi che popolano l’immaginario pop. Ma negli ultimi tempi i social network stanno avendo un peso preponderante nella produzione del successo. Dapprima si sono distinti come pusher ovvero come continuatori dell’opera già iniziata dalla tv. Prendiamo ad esempio i trendissimi One Direction,una boy band di 5 membri che sembra uscita direttamente dagli anni 90′ (anche le sonorità giurassiche ricordano quegli anni infatti). Dopo l’uscita dal talent di X factor UK,anziché far scemare la loro notorietà, hanno sfruttato i social network per creare una comunità di fans sfegatate,pronte a tutto pur di seguirli. In questo senso, i social sono stati preziosi nella riuscita della strategia messa a punto dall’industria pop. Hanno letteralmente spinto (in inglese, push) attraverso strategie di marketing web il gruppo, facendoli conoscere in tutto il mondo.
L’importanza dei social network è lampante: se una ragazzina casualmente guarda un video di un teen idol su YouTube e lo condivide sulla propria bacheca o sul proprio profilo twitter, ci sono molte probabilità che i suoi gusti combacino con quelle di un’altra ragazzina sua amica perché generalmente la nostra cerchia di amici/followers è costituita da persone che condividono età,interessi o luoghi (siamo ben oltre il passaparola,non solo per la maggiore utenza raggiunta ma perché la condivisione avviene in maniera razionale e sistematica).
Che fine faranno questi giovani promettenti quando la loro voce cambierà a causa dello sviluppo? Raggiungeranno mai il successo? Il mercato come potrà reggere tutti questi nuovi divi? Non si corre il rischio di sfruttare dei ragazzini? Il rischio non solo c’è ma è anche una realtà. Cosa succederà quando la carica mediatica di questi ragazzi si esaurirà? Quando il loro pubblico crescerà, questi personaggi finiranno nel dimenticatoio,non si evolveranno mai in veri e propri artisti. Pensate a tutte le band dimenticate. Ormai i Tokio Hotel (so 2007!) versano in un arrestabile e fisiologico declino,vittime di un sistema trituratutto. Prima o poi le fans crescono e si troveranno dei nuovi idoli da seguire.
Il mercato di internet è però più “libero” da magheggi rispetto alla tv. Mi spiego meglio. Tutti i concorrenti dei reality vengono presto o tardi dimenticati, escludendo le eccezioni. Questo perché esaurita la carica mediatica, l’effetto “simpatia” da parte del pubblico, non c’era un vero talento che riuscisse a sopperire alla mancanza di una narrazione, di una “storia autoriale” alla quale aggrapparsi (vd sopra). Il personaggio che muore (perché non è più in tv quindi non esiste) uccide l’artista (che in realtà non è mai esistito). Al contrario, su internet non c’è una meta-narrazione che tenga in piedi un personaggio. Il cantante di YouTube fa video dove canta non dove racconta la sua storia strappalacrime. In questo senso, c’è una sorta di “meritocrazia” più evidente della tv. Ma la pubblicità e le strategie di marketing si stanno adattando al nuovo mondo di internet e sono pronte a sfruttarle a loro vantaggio.
L’analisi condotta ha pienamente dimostrato che i social network sono una fonte straordinaria di pubblicità. C’è ancora chi non ha capito le potenzialità di questi mezzi e si ostina a rimanere su posizioni retrograde e snob. La domanda sorge spontanea: se i social sono così efficaci nella costruzione di divi mediocri, cosa succederebbe se venissero utilizzati per iniziative più costruttive e più vantaggiose per i veri talenti?