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Il divorzio secondo l’Istat

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Oggi ho letto su internet una recente indagine Istat la quale sfata tutti quei miti che vogliono i padri separati vittime delle donne arpie, che nel momento in cui divorziano si vedono sottratti pure le mutande.

Trovate l’articolo qui.

Voglio premettere che personalmente non ho mai fatto discorsi nei quali mi sono schierata a favore di padri separati o donne divorziate, forse perché ho visto amici uomini piangere in quanto  dopo il divorzio le mogli gli avevano davvero lasciati in mutande cercando modi per non fargli vedere i figli ma allo stesso modo ho visto amiche donne chiedere il divorzio con musi rotti e occhi neri dove la scusa “sono caduta e mi sono fatta male” le avevano un po’ stufate per non parlare dei mille ricatti da parte degli ex mariti quando ci sono in mezzo figli –le vere vittime delle separazioni- .

Insomma non mi piace generalizzare su un argomento che andrebbe affrontato per singolo caso e non mi piace parteggiare a priori per uno o per l’altro.

Ora però le statistiche ufficiali parlano chiaro, questa demonizzazione che spesso si vuol fare della donna non trova più terreno fertile.

Cito testualmente:

Condizioni di vita delle persone separate, divorziate e coniugate dopo un divorzio

Nel 2009, le persone che hanno sperimentato la rottura di un matrimonio (separati legalmente o di fatto, divorziati, coniugati dopo un divorzio) sono 3 milioni 115 mila, il 6,1% della popolazione di 15 anni e più. In seguito all’interruzione dell’unione coniugale, le donne ricoprono più spesso il ruolo di genitore solo (35,8%, contro il 7,3%), mentre gli uomini prevalentemente vivono da soli (43%, contro 25,4%) o formano una nuova unione (32%, contro 23,3%). La quota di separate, divorziate o riconiugate in famiglie a rischio di povertà è più alta (24%) rispetto a quella degli uomini nella stessa condizione (15,3%) e a quella delle donne in totale (19,2%).

Le percentuali più elevate di donne a rischio di povertà si trovano tra le sinlge (28,7%) e tra le madri sole (24,9%). Chi ha cambiato abitazione (41,3%) è tornato per lo più a casa dei genitori (il 32,5% degli uomini e il 39,3% delle donne), oppure ha preso un’altra abitazione in affitto (il 36,8% e il 30,5%).

Dopo la separazione, a veder peggiorare la propria condizione economica sono soprattutto le donne (il 50,9% contro il 40,1%), chi al momento dello scioglimento non aveva un’occupazione a tempo pieno (54,7%) e chi aveva figli (52,9%). Il 19% di chi ha vissuto la rottura di un matrimonio ha ricevuto aiuti in denaro o in natura nei due anni successivi alla separazione. Si tratta, in gran parte, di donne e di persone che vivono al Sud.

La maggioranza delle madri che vivono con i figli riferisce che quest’ultimi non hanno dormito a casa del padre nei due anni successivi la separazione (52,8%); il 20,1% dichiara che, oltre a non aver dormito dal padre, non lo hanno mai frequentato. A seguito della separazione, il rendimento scolastico dei figli peggiora nel 20,7% dei casi e nel 6% il peggioramento è tale da determinare una bocciatura o il rinvio di esami universitari.

Dopo la separazione i figli non vedono o vedono meno i genitori o i parenti del padre e della madre (rispettivamente, nel 18,6% e nel 8,7% dei casi). Dopo la separazione, il 5% dei genitori non può più sostenere le spese mediche per i figli con la frequenza necessaria, o non riesce a fargli frequentare corsi extra-scolastici (14,7%), a mandarli in palestra (16,1%) o a mandarli in vacanza nei luoghi e per la durata che era loro abituale (24,1%).

È triste che il sesso femminile abbia raggiunto il primo posto :

“La quota di separate, divorziate o riconiugate in famiglie a rischio di povertà è più alta (24%) rispetto a quella degli uomini nella stessa condizione (15,3%)”

Sono secondo me primi posti che nessuno vorrebbe avere uomo o donna.

In tv spesso si vedono trasmissioni che denunciano lo stato di povertà in cui si ritrovano gli uomini nel momento in cui affrontano un divorzio i quali spesso vengono ospitati in appartamenti del comune e si ritrovano a mangiare nelle mense della Caritas, sono situazioni reali, ne sono consapevole, ma non esclusive del genere maschile!

Nella nostra società sessista e misogina si ha l’abitudine a  rafforzare quello stereotipo che vuole la donna un’arpia senza cuore, ma ad uscirne da un matrimonio si è sempre in due, e le situazioni descritte dall’indagine Istat parlano chiaro! A soffrire sono anche le donne, tanto quanto gli uomini! Perché far finta di nulla?

Perché non si parla anche di queste donne? Perché farle passare come delle dissanguatrici di uomini quando si rivolgono anch’esse alla Caritas? La Caritas Lombarda, nel suo ultimo rapporto, indica che, in generale, il numero delle donne che si rivolge a loro come doppio rispetto agli uomini.

Perché questa lotta fra chi soffre di più, se l’uomo o la donna, quando a soffrire sono entrambi? e perché sempre la donna deve uscirne fuori con un’immagine stereotipata ,ovviamente in negativo ,di se? Perché generalizzare quando si dovrebbe parlare per singolo caso? perché è sempre così facile prendersela con le donne?

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