Magazine Psicologia

Il dolore di Narciso

Da Renzo Zambello

Il narcisismo: l’epidemia del nostro secolo.

Il dolore di Narciso
In ogni epoca la società ha fatto i conti con  epidemie che hanno devastato la popolazione e messo in crisi l’economia e il sistema sociale.  Fra queste,   il  vaiolo nel secondo secolo d.c.  la peste bubbonica nel ‘500,   nel 1300 la peste nera  poi,  nel 1800 il colera, oggi:  il narcisismo.

Esagerato!  Si ma, non troppo. Sostengo  la possibilità di definire il narcisismo  come una pandemia, specialmente   nella modalità di trasmissione e nelle dinamiche di contagio, ma su questo tornerò dopo.   Quanto  ai danni personali,  beh! basta conoscere qualche narcisista per concordare che a quantità di sofferenza, il poveretto non è invidiabile da nessuno.

Chi è il narcisista? Certamente non  quello   sicuro di sé che ostenta le proprie possibilità materiali o intellettuali. Al massimo quello è uno sbruffone, uno  che  “ se la mena un po’ ”, come dicono i ragazzi. Il narcisista  è uno che ha un Io debole e fragile ed è continuamente in preda all’ansia. Il  problema infatti sta qui.  Nessuno si può concedere di vivere con un Io fragile, con un senso di “vuoto dentro”. Sarebbe come andare in giro “senza pelle”.  Così l’Io sofferente è obbligato ad  escogitare sistemi di difesa che gli permettono di resistere ma che successivamente, potrebbero ucciderlo. Ad esempio uno dei sistemi più usati è quello di immaginarsi, sognare di diventare un grande, uno famoso, potente, far successo. Anche se il narcisista non sa che qualsiasi cosa raggiunga, finanche a diventare Presidente del Consiglio,   non gli servirebbe per  sedare  la sua ansia. Il narcisista si concede fantasie megalomaniache senza ritegno.  Ad un minus come si sente reagisce con pensieri e progetti megalomaniaci. Un mio  paziente se pur dotato di  una intelligenza superiore, coltivava in sé la fantasia che prima o poi sarebbe diventato Papa.  Si, Papa, senza accento.  Era pazzo? No, cercava disperatamente di coltivare fantasie onnipotenti per far fronte ad un “Io vuoto”.  Immaginatevi la frustrazione di questo poveretto  in un periodo in cui i papi si moltiplicavano e lui non lo chiamava nessuno.

Per capire come ciò funziona bisogna rifarsi al mito di Narciso così come ce l’aveva descritto Ovidio  fin dall’antichità.

Ci dice Ovidio che Narciso, ragazzo bellissimo, desiderato da tutti non si percepisce, non si conosce, diremo noi oggi,  ha un  Io debole, anzi,  é così fragile che spinto dall’ansia se ne va da casa alla ricerca di se stesso. La madre che forse non era esente da colpe per lo stato psichico di Narciso, interviene e pasticcia ulteriormente la situazione del povero ragazzo così da provocare  l’invidia e la maledizione degli dei. Risultato,  Narciso  vaga nella foresta finché non vede uno che le appare bellissimo e se ne innamora. Peccato che sia  la sua immagine. Il poveretto  si innamora di se stesso.. E’ la fregatura ultima, non riuscirà più a staccarsi da quel meccanismo mortifero. Morale: il narcisismo è la morte psichica.

Il narcisismo è un dolore, atroce. Dolore di non sentirsi, di essere nudi, senza pelle,  di non avere scelte, chiuso in una trappola, in una camera di specchi, vuota.

La clinica oggi, a distanza di millenni da Ovidio, constata ancora la malattia, ne registra la diffusione ma soprattutto ne ha spiegato alcune dinamiche. Ad esempio sappiamo che il senso di Sé, l’Io, non è un processo che avviene automaticamente ma è la risultanza  del rapporto tra madre e figlio  nei primissimi mesi di vita. E’ la madre che riconoscendo il figlio come essere staccato da se stessa permette allo stesso “di sentirsi”. Come dice la Klein il bambino si riconosce negli occhi della madre. Ma, è lo svezzamento il grande momento in cui si giocano le carte che possono condannare o salvare il bambino: o i due sono capaci di “staccarsi”  o resteranno “uniti per l’eternità” con la conseguenza che si  è creato “un uno” fuso è confuso, una monade,   dove  il bambino non saprà mai chi lui è veramente.

Ovidio ci ha spiegato che poco importa che poi il giovane,  vada in giro, si allontani dalla madre, ormai la maledizione l’ha ha segnato. Sono persone condannate a cercare, costruire, fare le cose più incredibili a volte con  sforzi ed atti di apparente grande generosità ma che non lasciano in loro niente.  Se sono persone in possesso di una buona intelligenza spesso ottengono risultati sociali e interpersonali importanti ma,  a loro non importa, sono sempre vuoti, nulla li sazierà mai. Non ci sono risultati professionali, amori, soldi che possano colmare “quel buco nero” che è dentro di loro. Sembra proprio la maledizione di un dio invidioso. Queste persone, come Narciso, non si innamorano di cose reali, di oggetti che stanno fuori di sé ma di loro proiezioni.  Amano negli altri quello che non riconoscono in se stessi. Gli altri non sono altro che proiezioni di sé che  inevitabilmente li deludono, tradiscono.

Il dolore che prova un narcisista è straziante. In preda ad un’ansia continua, sempre sul punto di implodere con la paura continua di morire nel senso  di non esistere, è continuamente costretto a cercare, a fare, ad investire, a sedurre, a costruire a sognare e poi, a verificare il fallimento. E,  per non morire, ripartire subito.

Sostenevo all’inizio che questa sofferenza della  personalità segue una psicopatologia che richiama le epidemie, infatti queste perché si sviluppino hanno bisogno di due situazioni sinergiche: l’agente patogeno e l’ambiente che favorisce la trasmissione. Abbiamo già detto di come la non separazione tra madre-figlio sia l’eziologia della sofferenza narcisistica ma, l’ambiente che permette lo sviluppo dell’epidemia  è il padre, o meglio  la mancanza del ruolo paterno.  Recalcati parla dell’evaporazione del padre e dello smembramento della famiglia. Fino a qualche generazione fa era il padre che assumeva in sé il ruolo di capo-famiglia a cui sottostava ogni membro.  Il figlio ad un certo punto smetteva comunque di essere della madre e diventava parte della famiglia con un ruolo sul quale si può discutere ma che  rompeva la  diade madre-figlio.  Quando poi cresceva imparava a riconoscere l’autorità degli insegnanti e poi nelle istituzioni. C’erano sempre,  ovunque delle figure che venivano riconosciute come  paterne. Improvvisamente sono sparite, evaporate come dice Recalcati. Non c’è più il padre.  E’ venuto a mancare quella capacità, quella possibilità di contenimento dell’Io fisiologicamente onnipotente del bambino di essere contenuto, naturalmente frustrato per permettergli  come dice Freud,  di costruire  la  sua pelle. Freud ci ha spiegato che è il super-Io, “l’autorità”, la legge, che  gli permette di costruire il suo Io. Ma,  in una società dove gli ideali sono crollati come il “muro”, dove la scuola non riesce più ad essere autorevole e l’autorità del padre è sempre più incerta,  rimane solo la madre che spesso,  purtroppo,  si rapporta con meccanismi primari.

La prossima volta continueremo ad analizzare qual è il ruolo della società e quali sono le possibilità terapeutiche.

di Renzo Zambello

Video correlati:

http://youtu.be/Sbh4vt3fy9w

http://youtu.be/OtQ9CNkZ0YM

 

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Tags: dolore, narcisismo, narcisista, narciso


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