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Il dono di Danuwa / Racconto / Il piacere della narrazione

Creato il 22 agosto 2013 da Marianna06

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Da sempre, al villaggio di Sererit, quello che è un Kenya un po' ingrato, periodi di “buona” sorte e periodi di siccità, e dunque anche di carestia temporanea, si alternavano nel trascorrere  monotono dei giorni, dei mesi e degli anni.

E Danuwa e la sua giovane numerosa famiglia accettavano la condizione ingrata o propizia, a seconda del momento, senza mai un cenno di ribellione.

Semmai, con paziente speranza, la donna, che pregava  tanto i “suoi” antenati, memore dei consigli della nonna, una saggia donna, quanto ascoltava con attenzione le raccomandazioni del prete cattolico, la domenica, in chiesa, era certa che un giorno o l’altro le cose sarebbero cambiate e , di sicuro, in meglio.

Un pomeriggio d’inizio maggio infatti, il suo uomo, di rientro dalla città vicina, dice a Danuwa che un gruppo di persone di bell’aspetto e ben vestite, incontrate per caso all’emporio cittadino, gli ha proposto un viaggio in Europa a fronte di un gruzzolo di dollari in cambio.

I soldi occorrono per il viaggio e la mediazione nell’affare. E aggiunge che sarebbe il caso di tentare l’impresa senza esitazione per il bene di tutti.

Danuwa e il suo uomo sono sposi giovanissimi. Essi, com’è giusto che sia, sognano per i loro quattro bambini un futuro certamente migliore  del loro. E il futuro la coppia sa bene che lo si costruisce con il lavoro e, per giunta, con un lavoro ben pagato.

E, soprattutto, con tanti sacrifici.

Fossero pure i sacrifici del “cuore”.

Così, proprio a malincuore, perché lo amava più dei suoi stessi occhi, Danuwa lascia che lo sposo organizzi il suo viaggio.

Quando giunge il mattino della separazione, il saluto e l’abbraccio sono carichi di commozione.

E il cuore di Danuwa è come trafitto da un machete ben affilato che la penetra. Ma nulla nella donna traspare. Lei sa cosa significa quella separazione e accarezza teneramente la testolina ricciuta del suo ultimo nato.

Le notti sono subito molto lunghe e tristi per la giovane donna da trascorrere in un letto senza accanto il proprio uomo. Le giornate, invece, per fortuna scorrono in fretta ripartite come sono tra mille incombenze nei campi,spesso sotto un sole impietoso, nei chilometri interminabili fatti per andare a procurarsi l’acqua e, infine, nelle faccende domestiche tra i giochi e i gridolini gioiosi dei suoi figli.

Trascorrono un paio di mesi dal giorno di quella partenza quando, inaspettatamente, il capo-villaggio manda a chiamare in tutta fretta Danuwa.

E Danuwa lo raggiunge con una corsa precipitosa, trascurando tutto il rimanente da fare.

E’ arrivato un telegramma ad un indirizzo in città, recapitato poi al villaggio,  dove si dice del crollo di un’impalcatura in un palazzone in costruzione in una città del nord-Europa (pare ma la cosa non è poi neanche tanto certa), il cui nome non è neanche ben chiaro. E in quel crollo sono morti alcuni muratori e manovali immigrati. E non di tutti è nota l’identità.

La donna, ammutolita,senza ascoltare oltre, compie il percorso all’inverso per fare ritorno alla propria abitazione. E lì abbraccia i suoi bambini, simulando un qualcosa che assomiglia a un girotondo. Ma è un girotondo triste. Molto triste.

Danuwa sa bene cosa significherà per lei d’ora in avanti la sua vita al villaggio. E cioè quella, nel rispetto di leggi non scritte, di una donna senza il suo uomo.

Intanto,trattenendo il pianto e abbozzando un sorriso un po’ grottesco, al momento pensa solo a preparare nervosamente una ricca polenta di sorgo per quella sua nidiata, che è sempre affamata.

 

     Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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Da Giovanna Lauricella
Inviato il 25 agosto a 06:26

Bello e tremendo questo racconto. Grazie