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Il "doppio" occhio: il vortice

Creato il 31 dicembre 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno


Immaginiamo un evento straordinario che susciti nell’essere umano un grande stato di paura. Se egli rimane atterrito e completamente in preda al terrore l’unico comportamento che saprà mettere in atto è quello a lui noto: la fuga. Il suo schema di azione ripeterà la sua condotta fissata; davanti a un evento del tutto eccezionale, egli non può che reagire che come sa agire. È quanto accade a uno dei due fratelli pescatori, nel racconto di Poe, Una discesa nel Maelström: essi sono del tutto sovrastati da una forza terribile contro la quale non c’è nulla da fare; la pressione dell’evento terrorizzante è talmente forte da neutralizzare ogni tentativo di uscirne fuori. «Non tutte le forme e non tutti gli stadi dei processi critici offrono chanche analoghe a coloro che vi sono coinvolti. Vi sono processi nei quali la sensazione di un pericolo imminente è talmente forte che, nella loro maggioranza, gli uomini si ritrovano incapaci di un relativo distacco e di un controllo della loro paura, anche se di per sé il processo, come essi potrebbero riconoscere se fossero più rilassati e capaci di riflettere da una distanza maggiore, offre sempre qualche chance di controllo e quindi di cavarsela senza danni» (Elias, Coinvolgimento e distacco. Rimando all’analisi del capitolo terzo di questo saggio, Pescatori nel vortice, ispirato al racconto di Poe, per un maggiore approfondimento).
Il coinvolgimento, per Elias, equivale alla situazione in cui gli uomini non possono avere alcun controllo del loro mondo, esteriore (naturale). Il distacco, invece, si ha quando prevale la possibilità di controllo della situazione. Avviene lo stesso fenomeno che esperiamo quando si viaggia e il veicolo subisce una forte e improvvisa accelerazione, per cui il corpo viene spinto a tal punto contro lo schienale del sedile come se il nostro corpo si distaccasse da noi. Soltanto una “presa di distanza” potrebbe condurre l’essere a una “visione d’insieme” dell’evento ed, eventualmente, a trovare un rimedio per la propria salvezza. Ma come fa l’essere a staccarsi dalla pressione subita? Esiste un solo modo: annullare completamente il proprio punto di vista, distaccarsi da proprio sé! In altri termini, egli deve essere capace di annullarsi come essere.
Egli deve porsi in una condizione di attesa di fronte all’evento straordinario: ciò che assume significato e valore non è il proprio sé, la propria individualità, ma l’evento in sé. Nel coinvolgimento totale l’essere s’immedesima con l’evento, il sé diventa parte di ciò che accade: è uno stato di totale metamorfosi. Quando annulliamo il sé nell’evento il nostro sé o la nostra individualità noi diventiamo un elemento stesso di ciò che accade. Come il fratello nel vortice egli diventa un oggetto come i rottami, le botti che il vortice trascina e risucchia verso il basso. Egli “prescinde” dall’effetto che l’evento produce su di Sé, come se egli non esistesse più. Per sé il marinaio è come se fosse già morto. È in questa condizione di attesa dello sviluppo del processo ch’egli può avere una sua presa distanza intorno a ciò che sta accadendo. Il “distacco” si compie nel momento stesso in cui il nostro marinaio si sdoppia. Ed è in questa fase che si attua il “raddoppiamento” del suo esserci: il coinvolgimento totale annulla il suo punto di vista, le cose sono osservate come se fosse il punto di vista del vortice; è come se il suo punto di vista subisse una sorta di scissione interna in virtù della quale esso si raddoppia: il suo punto di vista non osserva ciò che l’evento produce su di sé, ma osserva come l’evento si produce in sé, e queste informazioni è come se fossero trasferite a un altro sé che prima ha finto di annullare.
E' in questo stato di attesa e di annullamento del proprio sé che si crea uno stato di stupore. Come scrive Heidegger, nel guardare con stupore domina «il peculiare ritrarsi di fronte all’oggetto che desta stupore, fino a quel che si definisce l’essere annichilito» (Heidegger, Domande fondamentali della filosofia). Nello stato di stupore l’esserci rinuncia al proprio Sé, come se nel suo ritrarsi si lasciasse trascinare dalla forza del flusso, come se per esso non ci fosse più nulla da fare, e si abbandonasse alla forza dell’evento. Chi non sa nuotare e incidentalmente scivola in un fiume, l’unico modo che ha di salvarsi è abbandonarsi alla forza della corrente, è far sì ch’egli sia parte dell’acqua: colui che si agita e tenta di risalire la corrente, colui che preso dal panico e dalla paura si aggrappa al proprio corpo per far leva su di sé e trarsi fuori finisce con lo sprofondare nelle acque del fiume. Soltanto quando il corpo s’annulla non si trasforma in uno ostacolo di se stesso, annullandosi il corpo si alleggerisce, e alleggerendosi la forza della corrente allenta la presa su proprio Sé. Lasciandosi coinvolgere dal moto di pressione, l’attenzione del corpo rilassato si concentra sull’evento. In questa fase di alleggerimento della pressione è possibile attuare una presa di distanza, una “riflessione”, un raddoppiamento del proprio punto di vista; soltanto quando non si è più sotto l’urto della forza emotiva, si può osservare l’evento nella sua dinamica. Rinunciando al proprio punto di vista, l’essere si dispone ad osservare l’evento secondo la sua interna dinamica, come se il suo esserci non fosse più coinvolto. Solo così alla fine il marinaio riesce a sopravvivere al vortice, mentre osserva il fratello scomparire nel vortice.


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