Seguendo un g+ che mi consiglia sempre bene, ho letto un articolo sul blog Leucophaea dal titolo “Mistero” nel quale l’autore, Marco Ferrari, disserta della contrapposizione tra la fiducia nelle idee scientifiche e quella nella superstizione (o meglio, nella necessità insita nella natura umana di fermarsi, spesso, alle spiegazioni semplici):
[...] da mesi in redazione e fuori stiamo discutendo del perché bene o male (più male che bene) le idee scientifiche facciano una gran fatica a diffondersi e soprattutto a superare un muro di quella che potrebbe essere definita superstizione, ma non lo è, non del tutto.
L’assunto è che ci siano troppe controversie che contrappongono una spiegazione scientifica a una no. E come dargli torto? Mi fido della sua interpretazione, almeno per ciò che ritiene importante estrarre dalle 11 pagine di Jiro Tanaka in inglese scientifico ed in particolare del grafico (quasi quasi lo riporto anch’io)
che espone i tratti distintivi e quelli in comune tra la tendenza meccanicistica (che sfocia nei casi estremi nell’autismo) e tendenza mentalistica (che invece può degenerare nella psicosi). Nel mezzo c’è quella che viene definita popolazione “normale”, che include chi tende ad occuparsi di Ingegneria, Matematica e Fisica, Logica, Scienze naturali, Filosofia, Giurisprudenza e Scienze sociali, Storia, Storytelling, Psicanalisi, Terapia e Poesia.
Ma peccato, peccato davvero, per come lo sfogo poi gli prenda la mano e tutto il discorso finisca per riunire sotto l’unica definizione di “adoratori del mistero” varie teorie del complotto, visioni olistiche, agopuntura, e restare chiuso entro lo schema rigido di quella contrapposizione che, inizialmente, sembrava deplorare. Eppure in un punto si lascia sfuggire un “ci mancherebbe”:
“una interpretazione del fenomeno che lascia un angolino di inspiegato, di non rientrante nelle normali leggi della fisica e della chimica, del “c’è sempre qualcos’altro”, del “ci sono più cose in cielo eccetera”. Che è bello, da certi punti di vista, perché significa che secondo queste persone la scienza non ha ancora spiegato tutto (ed è vero, ci mancherebbe)”
E quindi Marco Ferrari finisce per scagliarsi contro lo storytelling e contro la cultura umanistica tout court.
[...] Che, come dicevo sopra, vede nel mistero, nell’inspiegato e in fondo nell’inspiegabile, qualcosa di fondamentale [...]Non si accontentano delle spiegazioni della scienza, vogliono sempre che ci sia qualcosa di più. E il mistero per loro deve rimanere tale, sono inorriditi dal tentativo degli scienziati di penetrarlo tanto quanto sono annoiati e respinti dalle spiegazioni. [...]
Mah… Almeno maneggiando questi argomenti forse varrebbe la pena sforzarsi di entrare un po’ più nel merito. Sapere ad esempio che esiste un dibattito, seppure minimo, su un certo modo di fare letteratura, una modalità che si attiene al dato scientifico. Una certa tradizione che si fa risalire ad Anton Cechov, passando per Alice Munro e John Cheever, ma ormai declinata in molte maniere e di sicuro non chiusa a difesa di posizioni indifendibili. Insomma, io non confonderei con tanta serena certezza la superstizione e l’indagine del mondo svolta attraverso la letteratura e la poesia.
Dolce Consapevolezza di sé – Annamaria Papalini(immagine, “rubata” al volo oggi all’amica Maria, dell’opera ancora imballata subito dopo l’acquisto).La filosofia, madre di tutte le scienze, nasce come indagine a tutto tondo -quindi, aggiornando l’accezione, indagine a carattere “olistico”, termine che io non svilirei tanto bellamente-. In fondo, dopo molti secoli, dopo la necessaria e dolorosa separazione tra le varie branche della conoscenza avviata nell’illuminismo, si torna sempre più di frequente a cercare di indagare le commistioni, pur sempre esistenti, tra i diversi filoni dello scibile umano e cercare di abbattere il muro artificiosamente eretto tra cultura umanistica e scientifica. (Io poi sono un architetto e proprio non me ne faccio una ragione. Vi siete mai ritrovati commossi davanti, ad esempio, alla bellezza unita all’utilità pratica di un’opera di Riccardo Morandi o di Luis Kahn?)
Mi piace aggiungermi a quanti citano ad ogni piè sospinto l’affermazione di John D. Barrow (insigne cosmologo):
Nessuna descrizione non poetica della realtà potrà mai essere completa
Lo stesso Barrow, quando fu insignito del Premio Templeton nel 2006, ricevette la motivazione: “per i suoi scritti sulla relazione tra la vita e l’universo, e sulla natura della consapevolezza umana [che] ha prodotto nuove prospettive sulle questioni centrali riguardo alla scienza e alla religione”.
La natura della consapevolezza umana. A che pro indagarla? Per tornare al mio limitatissimo cantuccio letterario, che è purtroppo solo un luogo dell’anima (e vammi a dimostrare che non ci sia spazio per l’anima -al più sospendi il giudizio, eccheccacchio!- tra i gangli del cervello per questa mole di nozioni, intuizioni e di riflessioni, mole che, sarà che i neuroni muoiono e non vengono rimpiazzati, ingrossa le sue file di giorno in giorno), oggi che viaggio in compagnia del Gioco del Mondo* e mi stupisco ancora (non finirò mai) di come la letteratura riguardi da vicino ciascuno di noi, mi sento contemporaneamente affine alla natura della Maga
“[...] Toc, toc, tu hai un uccellino nella testa. Toc, toc, ti bechetta dentro continuamente [...]”
perché sono spesso incosciente, sbadata e ignorante come lei, ma mi riconosco anche nello sguardo che su di lei posa Oliveira
“[...] Soltanto Oliveira si accorgeva che la Maga si affacciava ad ogni istante a quelle grandi terrazze senza tempo che tutti loro cercavano dialetticamente.”
Maga e Oliveira insieme -e d’altra parte come pensare che lo stesso Cortazár abbia potuto descrivere entrambi così bene senza aver avuto esperienza di tutte e due le facce della medaglia?-, io mi sto via via convincendo che soltanto quando si arrivi a padroneggiare entrambi i mondi, senza che un aspetto prevalga mai sull’altro, si possa aspirare ad avvicinarsi, privi di preconcetti, a qualcosa che assomigli a una rudimentale conoscenza del mondo. La conoscenza del mondo, la consapevolezza del tutto e insieme di sé stessi, il tema principe, il tema fondamentale dell’esistenza. Ecco a che pro indagare.
i sentimenti, del resto, non sono un tema qualunque, sono il tema fondamentale.
Nel 1983 scoprii, tra le altre, una splendida canzone già vecchia di dieci anni, che richiamava la leggenda dell’indovino Tiresia, in qualche modo il riassunto simbolico e poetico del senso delle riflessioni appena esposte. E, secondo me, una buona mano la dà anche ad avallare l’intuizione di quello scrittore/tecnico (non un “artista”! E nemmeno uno “scienziato”, eh, non ci sbagliamo!), quello che “la narrativa no”, ma che anche
(mi diverto a collezionare interviste, e allora?).
*) Julio Cortazár: Il Gioco del mondo (Rayuela) – Ed. Einaudi 2005