Il drago di ghiaccio nasce come un racconto nel 1980. Ancora il mercato per i racconti fantasy non era molto vasto se paragonato a quello di fantascienza con le sue storiche riviste.
George R.R. Martin pubblicava racconti da nove anni, aveva già vinto il suo primo premio Hugo nel 1975 con Un canto per Lya e altri due ne avrebbe vinti proprio quell’anno con La via della croce e del drago e Re della sabbia. Il suo unico romanzo all’attivo era La luce morente, pubblicato nel 1977. Tutte opere di fantascienza. Anche se al momento era la fantascienza il genere che lo vedeva più attivo – anche per motivi di vendibilità – la fantasy era comunque una delle sue grandi passioni. Quando ha scritto questo racconto non poteva certo prevedere che sarebbe stata la fantasy a donargli notorietà mondiale, ma qualche seme delle sue opere successive si trova anche in questo breve testo.
Dopo aver letto il racconto Parris McBride, che lo scorso anno dopo una trentennale convivenza sarebbe diventata sua moglie, gli aveva suggerito che da quel testo scritto per adulti avrebbe potuto ricavare una magnifica storia per ragazzi. Per chi è interessato la versione per adulti si trova nelle antologie Re di sabbia (la stessa che contiene Il cavaliere errante, l’unico dei tre racconti ambientati nei Sette Regni scritto da Martin e tradotto in italiano) e Fantasy, quest’ultima pubblicata in due diverse collane dalla Casa Editrice Nord ma ormai fuori catalogo.
Dopo tantissimo tempo (mai notato che lo zio George non è proprio la persona più rapida del mondo a scrivere?), finalmente nel 2006 è arrivata nelle librerie americane la versione racconto, illustrata da Yvonne Gilbert. Per l’edizione italiana Mondadori ha preferito far realizzare la copertina da Paolo Barbieri e le illustrazioni interne da Luca Enoch.
La copertina è meravigliosa, e mi piacerebbe tanto sapere perché questo sia l’unico volume di Martin illustrato da Barbieri, al quale vengono invece affidate tutte le copertine dei romanzi di Licia Troisi. Così come, pur apprezzando il lavoro di Enoch, mi chiedo che bisogno ci fosse di cambiare le illustrazioni del volume. Preferirei che la casa editrice si concentrasse su altre cose, come una revisione della traduzione delle Cronache del ghiaccio e del fuoco che invece temo non ci sarà mai.
Anche se possiedo sia il vecchio racconto che la versione per bambini non ho fatto confronti fra le due opere. So che Martin ha in qualche caso smussato un po’ le scene per renderle meno crude, e che ha operato una suddivisione in capitoli. Non so se ci siano altre differenze, e non intendo controllarlo. Quello che ho notato sono un paio di piccole affinità con la sua saga più famosa.
Ci sono i draghi, primo punto in comune, ma draghi nella fantasy se ne trovano in abbondanza. A proposito, se pensiamo che Christopher Paolini sia stati il primo a far cavalcare i draghi per andare in guerra pensiamo a questo drago, nato nel 1980. È solo un racconto, ma l’autore è abbastanza famoso da non escludere che potesse conoscerlo. Eragon è del 2003, e di mezzo c’era stato il ciclo della Guerra dei regni di Harry Turtledove (il primo volume, Nell’oscurità, è del 1999), anche se i suoi draghi sono stupidi e ubbidiscono malvolentieri agli ordini dei loro cavalieri che li portano in una guerra che somiglia tanto alla Seconda guerra mondiale. In più nel 1979 c’era stata La storia infinita di Michael Ende. Giusto per sottolineare, per chi conosce poco il genere, come i draghi e i loro cavalieri non siano certo un’invenzione di Paolini.
Qui però c’è un drago particolare, di ghiaccio, ed è un contrasto molto forte visto che di solito i draghi amano il caldo e sputano fuoco. Martin ama i contrasti, e inizia proponendocene uno già nel titolo. Già a pagina 11 lo scrittore ci dice che “Non era mai sicura se fosse il freddo a portare il drago, oppure il drago a portare il freddo”, stessa caratteristica che molti anni più tardi avranno gli Estranei. Gli Estranei sono giusto un po’ meno simpatici di questo dolce animaletto volante, ma sono loro a portare il freddo o è il freddo che li fa arrivare?
Adara si diverte a costruire castelli di neve e di ghiaccio, e in Il portale delle tenebre troveremo un’altra fanciulla, un po’ più grande, che costruisce un altro castello. Sono scene molto diverse, sia per il contesto che per la sorte destinata infine alla costruzione, ma la bellissima immagine è la stessa, e a me richiama un altro castello gelido, quello di una delle mie fiabe preferite di quando ero bambina: La regina delle nevi. È curioso come piccoli dettagli possano insinuarsi nella nostra mente e suscitare ricordi ed emozioni, al di là delle intenzioni dell’autore, come tante piccole madeleine proustiane. Forse l’avete notato, io non so resistere alle madeleine, e non sto parlando di dolci.
C’è il trascorrere delle stagioni, e anche se l’inverno porta sicurezza da una guerra che sembra incessante e che mette preoccupazione nella famiglia di Adara, l’inverno e in freddo non sono proprio tranquillizzanti. E c’è un finale agrodolce, perché non c’è mai la felicità totale senza almeno un po’ di rimpianto per ciò che si è perduto per sempre.
Il libro è breve, si legge in pochissimo tempo e non ha certo la complessità di opere più famose. Non solo Le cronache del ghiaccio e del fuoco, la cui sola lunghezza le mette al di là di ogni paragone, ma anche gli altri romanzi, La luce morente, Il pianeta dei venti, Il battello del delirio, Fuga impossibile e molti racconti sono molto più densi e ricchi di sfaccettature di questo libretto che può essere un diversivo piacevole e leggero in un momento di pausa, o una storia adatta a lettori giovani.
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