“Alla poesia tutto si sacrifica, tutto vale una rima: mogli, figli, patria e regole sociali”
Così Howard Brenton, in “Maledetta poesia”, afferma il valore della libertà individuale, della perseveranza dei poeti a credere nei loro ideali e del coraggio di affrontare la società e gli eventi della vita senza piegare il capo. L’opera è un dramma che ha come protagonisti due dei maggiori poeti romantici inglesi: Byron e Shelley. La trama si snoda tra passioni, fughe, pazzia e l’amore incontrastato per la poesia e l’utopia. Troviamo la scappatella di Byron su per una grondaia, la duplice relazione amorosa di Shelley, Byron che dice di scrivere solo per effetto del brandy e il suo fingersi pazzo e poi? Ci sono gli altri e il nefasto risultato sugli altri della loro ricercata utopia. Muoiono le persone della loro famiglia e i due poeti egoisticamente vanno via dalla patria, Byron si dedica alle dame dell’aristocrazia italiana. E’ utopia, dice Brenton : “Mi interessavano poiché erano stati degli aspiranti utopisti non solo nelle loro opere e opinioni, ma anche nel modo in cui avevano tentato di vivere… senza paura di essere oppressi, della povertà, della molestia sessuale“.
L’opera assume come epigrafe un commento dello storico inglese Richard Holmes : “Shelley’s life seems more a haunting than a history.” – La vita di Shelly è più un cercare con affanno che una storia, mentre l’affermazione a cui segue il dramma vero e proprio è questa: “La poesia è utile”.
In un’intervista Brenton , citando Sartre, dice che ci sono tre tipi di scrittori: scrittori che scrivono per Dio, scrittori che scrivono per se stessi, e scrittori che scrivono per gli altri . “Io scrivo per gli altri. Un’opera non risiede in cielo, o in una biblioteca. Come drammaturgo, io so che senza gli altri un’opera non esiste “.
Brenton, viene definito dalla critica letteraria inglese come il successore di Bertold Brecht. E’ un drammaturgo prolifico – ha al suo attivo circa quaranta opere per il teatro . Già nel 1970 era considerato un drammaturgo di ambiziose opere teatrali epiche. Il suo obiettivo è quello di ispezionare lo stato della macchina “Nazione”. Con David Hare, drammaturgo, sceneggiatore e regista britannico, nel 1985, scrive la pungente quanto preveggente satira Pravda (1985) su di un grande magnate dell’editoria.
Guardando attraverso l’intero arco della carriera di Brenton, è davvero difficile dire esattamente che tipo di drammaturgo egli sia. Dietro ogni satira politica (A Short Sharp Shock, del 1980, con Tony Howard) c’è uno studio appassionato sull’amore romantico (In Extremis, 2006); dietro ogni affermazione di intolleranza religiosa (Iranian Nights, 1989, con Tariq Ali) c’è un esame sulla natura della fede (Paul, 2005). Qualunque cosa egli sia, Brenton raramente lascia che il pubblico mantenga i propri preconcetti intatti.
Michael Grandage, che attualmente si sta occupando della revisione di Danton’s Death per il National Theatre dice di lui: ” Howard è uno dei nostri più grandi scrittori politici, uno scrittore che sorprende con una mente poetica, ma allo stesso tempo sensuale; la sua scrittura è divertente e verstile.”
Brenton dice di aver preso la passione per il teatro dal padre, poliziotto per necessità: “Si è arruolato a causa della disoccupazione”. Erano gli anni ’30, e chi otteneva quel lavoro, era sicuro di potersi sposare. Ma egli odiava la polizia.”, ricorda. Ma, verso la metà degli anni ’50, cogliendo tutti di sorpresa, si ritira dalla polizia per diventare un predicatore metodista. Howard fa tante attività, trascura lo studio, beve, gironzola fino a tarda serata con gli amici, fin quando, un giorno, uno dei suoi insegnanti gli dice: “’Guarda, fermati, scegli di fare solo una cosa e io ti insegnerò a farla bene.”
“Ho scelto un’opera, l’ Ulisse di Joyce, l’abbiamo letta per un anno. Pensavo di stare perdendo tempo, ma non fu così: Stavo ricevendo la migliore formazione che si possa immaginare “
Joyce chiaramente lascia il segno su Brenton e la stesura delle sue opere. Come in Danton’s Death, Büchner medita sulle conseguenze della rivoluzione francese, ma nel recente adattamento (il suo secondo), l’opera acquista una maggiore caustica nitidezza e più sottile ironia: di solito selvaggia, a volte letteralmente esplosiva.
Probabilmente il suo primo vero capolavoro vero è Magnificence (1973), ambientato in un quartiere di occupanti abusivi il cui idealismo svanisce con il diminuire dell’approvvigionamento di cibo fresco. Il quartiere è preso d’assalto dalla polizia, si verifica un incidente e il capobanda è messo prigione, dove acquisisce una più radicale coscienza politica. Il dramma culmina nel momento in cui il protagonista riempie il suo zaino con esplosivi e stabilisce di far saltare in aria un’ala del parlamento.
Per la stesura del dramma, Brenton dice di essere stato influenzato da due fattori: le sue esperienze ad Amsterdam alla fine del 1960, dove la pace e l’amore erani stati sostituiti da qualcosa di più politico; e dalle attività della Angry Brigade, un gruppo di giovani dissidenti di sinistra che, nei primi anni ’70, piantarono bombe in una serie di obiettivi del governo. “Erano studenti brillanti che avevano deciso di far saltare in aria il Ministero della Difesa, e poi sono finiti in galera“, dice Brenton.
Dopo aver svolto ogni tipo di lavoro a Londra, dietro le quinte per sostenere la sua scrittura, arriva Magnificence il punto di svolta per Brenton che, oltre ad essere fortemente influenzato da Brecht, porta anche le caratteristiche dei situazionisti, in particolare di Guy Debord The Society of the Spectacle (1967). “Il libro ha esercitato una grande influenza“, dice Brenton. “Esso sostiene che la società è come un circuito stampato che opera lungo determinati canali, senza i quali l’economia non funziona. La stessa vita pubblica è uno spettacolo di massa a cui tutti fanno finta di farne parte, ma nessuno lo è.”
Per quanto Brenton rimane affascinato dalla psicologia del terrorismo, non è mai stato un simpatizzante – una distinzione che spesso è passata inosservata. Egli professa ancora di essere marxista: “Vorrei non lo fossi, ma una volta che hai visto le ossa nude del mondo, non c’è modo di tornare indietro“.
Negli anni ’90, Brenton, come molti drammaturghi di sinistra della sua generazione, si trova fuori, sfollato teatralmente dai cosiddetti drammaturghi “in-yer-face” : Sarah Kane, Mark Ravenhill e Anthony Nielson. Di loro Brenton dice: “Erano scrittori formidabili, e avevano i loro direttori. Io ero fuori moda e il denaro cominciava a scarseggiare.“
Uno dei progetti Brenton si arena nel tentativo di adattare Il Visconte Dimezzato di Calvino. “Io ero affascinato dalla storia, ho anche ricevuto una lettera molto bella dalla vedova di Calvino e il Deutsches Theater [a Berlino] l’aveva commissionato. Non ci sono riuscito. Mi sono bloccato”
Nel 2005 Brenton completa Paul e suo figlio, dopo averlo letto gli dice che alla fine il tema è tutto nella fine: “quello di un uomo che è diviso a metà, che va da un estremo all’altro.”
Ma per Brenton l’epifania non è quella finale. Si è di fronte a due ulteriori realizzazioni, entrambe sconvolgenti: che Gesù era sposato, e che la risurrezione era probabilmente un falso. Tuttavia, diffidando dal mettere in pericolo la chiesa cristiana in rapida espansione, torturato da insicurezze varie, Paul conserva i segreti dai suoi seguaci.
Il drammaturgo David Hare afferma che “La bellezza dell’idea che Paolo sapesse che forse Gesù non fosse risorto dai morti, ma che voleva la risurrezione come mezzo per trasformare l’umanità è alla base del contrasto tra la necessità di un sogno e la sua realtà. Paul, credo sia uno dei drammi più notevoli del nuovo secolo “.
“A volte guardi indietro a una scena e non ti ricordi di averla scritta, l’hai scritta troppo in fretta,” dice.” E’ molto strano. È per questo che alcuni scrittori parlano della musa, o diventano mistici“. Ma si avverte che, per tutte le sue angoscianti riflessioni sulla fede, Brenton non diventerà mai un mistico “Mi sono rivolto non ad una parabola, ma alla storia e chissà cosà verrà fuori dalla corteccia dorsale della terra, domani”