Ci sono momenti in cui fare il blogger è come pattinare sul ghiaccio senza alcuna protezione. Si rischia di cascare e farsi male.
E’ questa l’immagine che per alcuni giorni ho avuto in testa dopo aver letto l’articolo di Gian Antonio Stella, pubblicato sul Corriere della Sera del 22 aprile, dal titolo: “La strage dei minatori italiani che Rockefeller cancellò con l’arte”.
Confesso che non ero a conoscenza dell’episodio che Stella ricostruisce sulle pagine del Corriere, ma di aver letto (e riletto) con un certo interesse il pezzo.
La storia risale all’aprile del 1914, esattamente un secolo fa, e tra i protagonisti ha un gruppo di minatori, molti di origine italiana, le loro famiglie e un angolo di America tra Colorado e New Mexico. I minatori, da mesi in sciopero per chiedere condizioni di vita e lavoro più umane, si erano accampati a Ludlow, ai piedi delle Montagne Rocciose, dopo essere stati allontanati dalle loro case dalla compagnia per cui lavoravano, la Colorado Fuel and Iron Company, di proprietà della famiglia Rockefeller.
E fu proprio per reprimere definitivamente la loro protesta che il 20 aprile 1914 l’ufficiale Karl Linderfelt ordinò alle milizie e alla guardia civile che erano sotto il suo comando di attaccare l’intero accampamento e di fare fuoco sugli operai e le loro famiglie.
Quante furono esattamente le vittime non venne mai appurato, i giornali del tempo reagirono con determinazione e durezza. Il New York Times descrisse il campo di Ludlow “come una massa di macerie carbonizzate che nascondono una vicenda di orrori che non ha l’eguale nella storia della lotta industriale”.A questo punto della storia entra in gioco Ivi Lee, il numero uno dei public relation man dell’epoca, come ricorda Gian Antonio Stella. Lee, su invito di John D. Rockefeller Senior in persona, visibilmente preoccupato e infastidito dalle ripercussioni negative che la vicenda stava provocando all’immagine della famiglia, consigliò al ricco magnate di mostrarsi generoso e di trasformare il dramma di Ludlow in “un’occasione di beneficenza, di cultura di promozione dell’arte”.
Da lì leggenda vuole che prese vita l’idea di creare ciò che a distanza di anni sarebbe diventato il MoMa, Museum of Modern Art.
Cosa c’entra tutto questo con il pattinare sul ghiaccio?
Diciamo che da blogger che si occupa di idee di comunicazione e marketing culturale, ho provato una certa amarezza nel constatare che un grande giornalista come Gian Antonio Stella nel suo articolo non abbia fatto alcun cenno alle motivazioni ‘altre’ che possono spingere a investire nella promozione dell’arte e della cultura.
Nessun dubbio (o illusione) sul fatto che le vie del mecenatismo siano costellate di ‘cattivi’ propositi, ma siamo sicuri che oggi, in un paese dove i muri di Pompei crollano e tantissimi operatori culturali lottano ogni giorno per dare futuro alla cultura italiana, sia giusto dare tutta la scena ai cattivi esempi?
Personalmente penso che per ricordare e capire il dramma di Ludlow ci sia bisogno di tanta buona cultura.A questo punto potrei essere scivolata ed essermi fatta male, quindi cari lettori datemi una mano
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