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Il fango di Sybaris

Creato il 28 gennaio 2013 da Natale Zappalà


Sybaris è un nome che nel mondo greco emerge prepotentemente ogni qual volta che si parla di lusso, opulenza, ozio voluttuoso: espressioni proverbiali che popolano l'immaginario degli scrittori antichi, colpiti dalla tramandata e ostentata ricchezza di una polis leggendaria, dove la vegetazione era così florida da dispensare ovunque l'ombra a beneficio di almeno centomila abitanti (altre fonti, probabilmente esagerate, parlano addirittura di trecentomila residenti), capace di controllare venticinque città e quattro popoli ancora alla fine del VI sec. a.C., quando Roma era ancora un centro pastorale su cui signoreggiavano i principi etruschi.

Il fango di Sybaris

Foto scattata dall'autore - Settembre 2010

Sybaris è il paradigma di quella arcaica grandezza vagheggiata che si sintetizza in due parole: Megale Hellas, Magna Grecia, la primavera occidentale di una civiltà in grado di originare la ricerca scientifica, la filosofia, il concetto autentico di democrazia e cittadinanza. La Storia non è mai stata tenera con Sybaris. Sconfitta e rifondata più volte, a partire dalla rovinosa ed epocale sconfitta del 510 a.C., sulle ceneri delle devastazioni dei Crotoniati sorsero Thurii e Copia, appendici sontuose eppure imparagonabili allo splendore primigenio. La fondazione di Thurii sul sito della vecchia città, promossa su iniziativa di Pericle nel 444/43 a.C., si avvalse dell'apporto di personaggi come Ippodamo da Mileto, celebre architetto che ne progettò l'impianto ortogonale, il sofista Protagora, che ne redasse la costituzione, oltre allo storico Erodoto, che firmava la sua opera immortale dichiarandosene cittadino. Ripercorrendo a ritroso le vicende di Sybaris emerge una costante dagli effetti antitetici, di eros e thanathos, gli effetti alternamente salvifici o mortiferi dell'acqua e del fango portate dal Crati. C'è stato un tempo in cui al limo depositato dal fiume sulla vasta piana su cui si adagiava la città corrispondeva la straordinaria fertilità della zona. Ma si racconta anche della tremenda punizione inflitta dai Crotoniati vincitori nel 510 a.C., che deviarono il corso del Crati sulle rovine fumanti della polis sconfitta. Ma torniamo al presente. La cronaca odierna ci riporta la notizia sconvolgente di un immenso parco archeologico, che per cinquecento ettari circoscrive le imponenti vestigia di un passato trimillenario, sepolto da quattro metri di detriti alluvionali. Le ampie plateiai concepite da Ippodamo, il grande santuario di Casa Bianca, meraviglie invidiate da tutto il mondo, giacciono sommerse dal fango.

Il fango di Sybaris

Il Parco Archeologico di Sibari allagato

Un evento né imprevisto né imprevedibile, come spesso accade sul versante della tutela dei beni culturali italiani, Pompei docet. Un rischio che aleggiava perennemente all'occhio del pubblico in visita al parco, puntualmente segnalato dai ricercatori impegnati nella missione quotidiana dura e appagante del riesumare mosaici, santuari ed ogni sorta di prodigiosa testimonianza materiale dell'antichità. Se l'area degli scavi risulta più bassa di cinque-sei metri rispetto all'adiacente bacino fluviale del Crati ne consegue che ogni pioggia torrenziale rappresenta una seria minaccia di allagamento. Eppure nessun provvedimento in proposito è stato intrapreso, ed ora i costi legati alla rimozione del fango superano di gran lunga la cifra che sarebbe bastata per dotare il parco archeologico di un sistema utile per prevenirne l'allagamento. Episodi del genere, se da un lato rappresentano indubbiamente delle conseguenze scellerate di negligenze specifiche e circostanziate da mettere in relazione con l'allagamento di Sybaris, d'altra parte si ascrivono a considerazioni di ordine generale, che richiamano la strafottenza sistematica nei confronti del patrimonio storico-culturale locale di cui la maggioranza dei calabresi risulta colpevole. Una colpa dettata dall'ignoranza, dalla ormai radicata tendenza a considerare la valorizzazione della propria Storia non già in qualità di veicolo di resurrezione economica e sociale, ma come sterile strumento di masturbazione ideologica limitato ad intellettuali perdigiorno che vivono nel passato; oppure come slogan sbandierato dal politicante di turno – di qualsiasi sponda (anche se il termine corretto sarebbe “deriva”) partitica – che propagandisticamente si propone come il paladino della cultura per raccattare qualche consenso. La verità è che i posteri non meritano l'eredità degli avi. Il peso dei millenni che separa il fulgore di ieri dagli acquitrini di oggi è il discrimine fra la civiltà che c'era e la barbarie che resta qui in Calabria. Servono misure urgenti e radicali, che coinvolgano necessariamente l'educazione delle nuove generazioni. Obbligo scolastico di studio della storia locale, de facto già in vigore nel Nord Italia, strategie di tutela, conservazione, divulgazione e valorizzazione ad ampio raggio. Un progetto a lungo termine di alfabetizzazione etica, in definitiva, capace di restituire una parvenza di dignità ad un popolo ormai cronicamente incapace di custodire le memorie dei propri Padri.
Natale Zappalà

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