Soltanto nella scorsa puntata di questa rubrica dedicata all’home video digitale abbiamo avuto modo di dare uno sguardo ai vari sequel del Frankenstein (1931) diretto da James Whale, che, prodotti da Universal, sono stati riscoperti da Sinister Film su supporto dvd italiano, oltretutto corredati di doppiaggio originale dell’epoca.
Rimanendo sempre nell’ambito del catalogo Sinister, veniamo ora a conoscenza del fatto che, arricchito di galleria fotografica, per quanto riguarda storici horror sfornati dalla major è anche Il fantasma dell’opera (1943) di Arthur Lubin a rivivere su disco, permettendoci di rispolverare una delle più famose trasposizioni su celluloide dell’immortale romanzo di Gaston Leroux.
Trasposizione caratterizzata da splendidi colori e che ne esaltano la spettacolarità e che, vincitrice di due premi Oscar (migliore scenografia e migliori costumi), vede un grande Claude Rains nel ruolo di Erique Claudin, musicista rimasto sfigurato dopo essersi reso responsabile dell’omicidio di colui che gli ha rubato una composizione e rifugiatosi, di conseguenza, nei sotterranei del teatro da cui, appunto, ricompare come fantasma seminando morte e follia per favorire la carriera di sua figlia, corista dell’Opera.
Mentre il noto cantante Nelson Eddy e Susanna Foster provvedono al lato canoro-sentimentale di un’operazione il cui tenore generale, in realtà, è molto più vicino a quello di un musical che di un film dell’orrore.
E, cambiando genere, ma occupandoci sempre di novità sinisteriane, non possiamo fare a meno di concentrarci su un interessantissimo poker di fantascienza diffuso dalla label, a cominciare dall’autentica pietra miliare Cittadino dello spazio (1955) di Joseph M. Newman, tratto dall’omonimo libro di Raymond F. Jones e spesso menzionato come prima vera space opera cinematografica.
Con il solo trailer quale extra, una space opera concepita tramite notevole dispendio di mezzi per mettere in scena la vicenda del giovane e brillante scienziato Cal Meacham, ovvero Rex Reason, impegnato a condurre esperimenti avanzati sull’uso dell’energia atomica e che riceve da uno sconosciuto l’invito a recarsi in un laboratorio posto sulle colline della Georgia; dove incontra sia l’uomo, che si chiama Exeter e presenta i connotati di Jeff Morrow, sia un collega e una collega conosciuti tempo addietro e lì convocati, come lui, per coinvolgerli in un progetto volto a favorire il progresso della civiltà e la liberazione del mondo dal pericolo delle guerre.
Man mano che la verità viene allo scoperto e che, tra pianeta Metaluna tirato in ballo e piogge di meteoriti, fa la sua entrata in scena il mostruoso mutante dal grosso cervello sito sopra al capo, che, realizzato da Bud Westmore, si rivela la vera star della pellicola.
Un grosso oggetto che si muove nelle profondità dell’oceano e che, rintracciato da un sottomarino nucleare al comando di Pete Mathews alias Kenneth Tobey, si scopre essere un gigantesco polipo generato da test atomici e pronto ad attaccare San Francisco è, invece, al centro de Il mostro dei mari (1955) di Robert Gordon, assolutamente da non confondere con La creatura del mare fantasma (1961) di Roger Corman.
Polipo che anticipa, quindi, i vari, successivi lungometraggi incentrati su enormi piovre assassine (pensiamo a Octopus o a Mega shark versus giant octopus) e che, se in un primo momento non si manifesta altro che attraverso i suoi minacciosi tentacoli, non tarda a mostrarsi in tutto il proprio distruttivo splendore, attuando devastanti imprese come quella memorabile dell’annientamento del Golden Gate.
Polipo concepito dal compianto mago della stop motion Ray Harryhausen, il quale, insieme al John Bruno effettista di Titanic (1997) e al John Canemaker che si occupa di animazioni, racconta fondamentali aneddoti in una featurette di venti minuti offerta insieme alla pellicola.
Come pure, escluso Bruno, i due ci deliziano nella featurette della medesima durata che – comprendente interventi del genio del make up Stan Winston e del Frank Darabont regista de Il miglio verde (1999) e The mist (2007) – va ad accompagnare La Terra contro i dischi volanti (1956) di Fred F. Sears, rientrante tra gli antenati di Independence day (1996) di Roland Emmerich ed omaggiato in salsa di parodia dal Tim Burton di Mars attacks! (1996).
Perché, come nei due blockbuster degli anni Novanta, è un attacco al mondo da parte di alieni forniti di tanto moderne quanto pericolose astronavi quello che finisce per dominare la circa ora e venti di visione, girata in economia e in uno splendido bianco e nero.
Circa ora e venti di visione in cui gli invasori, muniti di caschi provvisti di congegni di traduzione vocale e protetti da tute simili ad armature, non mancano neppure di dedicarsi al rapimento di dottori e soldati per poi sottoporli al lavaggio del cervello.
Nel corso di un movimentato elaborato mirato ad intrattenere il pubblico a suon di edifici rasi al suolo e disintegrazioni e nel quale spetta all’Hugh Marlowe di Ultimatum alla Terra (1951) il compito di salvare il globo terrestre, affiancato da Joan Taylor.
La stessa Taylor che ritroviamo tra i protagonisti del super classico A 30 milioni di km. dalla Terra (1957) di Nathan Juran, la cui esile idea di partenza riguarda una spedizione segreta su Venere in seguito alla quale, precipitato il veicolo della missione al largo delle coste siciliane, alcuni pescatori prestano soccorso all’equipaggio e un bambino recupera un misterioso contenitore racchiudente l’uovo di una creatura extraterrestre.
Extraterrestre simil-lucertolone preistorico che, denominato Ymir, una volta nato subisce una velocissima mutazione, aumentando sempre più le sue dimensioni e seminando terrore e macerie su suolo tricolore.
Infatti, al di là del confronto con un elefante, a regalare le abbondanti dosi di divertimento contribuiscono, tra l’altro, la demolizione di Ponte S. Angelo, sul fiume Tevere, e uno scontro finale da antologia sul Colosseo che, in maniera evidente, si rifà a quello conclusivo del King Kong (1933) di Ernest B. Schoedsack e un non accreditato Merian C. Cooper.
Quindi, c’è da divertirsi nostalgicamente parecchio… tanto più che, oltre ai già citati Harryhausen, Canemaker e Winston, la featurette di ventisei minuti qui proposta concede la parola ai cineasti John Landis e Terry Gilliam e ad illustri maestri degli fx del calibro di Rick Baker e i Chiodo Bros.
Francesco Lomuscio