Magazine Cultura
«La guerra e il genocidio sono universali ed eterni, non sono legati a nessun periodo specifico e a nessuna cultura. Nel mondo di oggi le grandi guerre sono state sostituite da piccole guerre più simili a quelle delle comunità agricole primitive o dei cacciatori e raccoglitori. Le società moderne hanno cercato di eliminare la tortura, la pena di morte e l’uccisione dei civili, ma quelli che combattono le piccole guerre non rispettano queste regole.» Edward Osborne Wilson , “Il richiamo della tribù”, Newsweek, trad. it. Internazionale, n. 949 del 18 maggio 2012
Forse, una delle ragioni principali per cui il comunismo rimane un'utopia è dovuta proprio all'inestirpabile richiamo della tribù che caratterizza la natura umana. Il potere – ovvero la classe dominante al potere oggi, i suoi componenti facilmente individuabili in coloro che possiedono e manovrano il capitale finanziario mondiale – approva e stimola questa frammentazione, questa suddivisione in gruppi umani che lottano ognuno per un perimetro dove defecare i loro valori. Per il potere è un vantaggio che ci siano stirpi, famiglie, tribù, clan, club, cosche, bande, associazioni, confraternite, comunioni e liberazioni, insomma: tutta serie di società a irresponsabilità illimitata che impediscono al popolo di coalizzarsi per sovvertire l'ordine costituito. Certo, ci sono stati progressi enormi negli ultimi anni e sempre più ce ne saranno e, probabilmente, aumenterà ancora il senso di appartenenza al genere umano. Ma le distanze ravvicinate, ottenute soltanto attraverso la mediazione informatica, non restituiscono la carne e il suo dolore, e il sangue visto sullo schermo è solo un rosso tenue che la mente lava via in fretta. Siamo ancora animali limitati, nonostante gli enormi progressi di evoluzione culturale. Ancora fatichiamo a comprendere, prima di tutto, che la storia è una storia di lotta di classi, e che è la classe dominante il peggiore parassita del pianeta.
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