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Il Festival della letteratura: un evento che deve essere anche un mezzo

Creato il 21 giugno 2012 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

 Milton Fernandez, responsabile dell’organizzazione del primo festival della letteratura a Milano, ha pubblicato sul blog del festival stesso i dati relativi alla partecipazione alla manifestazione. Mi risparmio perciò di ripeterli in questa sede e di aggiungervi considerazioni ovvie, che già ha fatto Milton e che ciascuno può ampliare a proprio gusto dando, se vuole, una interpretazione delle crude cifre. Manca, nel riepilogo, una scomposizione delle circa 4000 presenze: un dato molto credibile e da considerarsi buono, ma frutto di una somma di eventi molto diversi, alcuni affollati e altri semideserti, alcuni pienamente soddisfacenti e altri che forse potevano dare di più. Riflessioni che organizzatori e partecipanti avranno modo di approfondire, anche per correggere e meglio valorizzare la proposta in vista della prossima edizione.

Il Festival della letteratura: un evento che deve essere anche un mezzo

Quanto scrive Milton a proposto del futuro del festival mi sembra condivisibile, anche se non tutto di semplice realizzazione (ma, certo, non lo era neppure far nasce il festival dal nulla). Aprirsi più esplicitamente ai medi e grandi editori è una sorta di obbligo morale per un’organizzazione che nasce per non escludere nessuno bensì per coinvolgere; ben sapendo, però, che ci sono primattori che non accettano facilmente un ruolo paritario, che vogliono il nome in testa al cartellone, che tendono a oscurare gli altri partecipanti e che in questo possono trovare facile sponda in quel mondo della comunicazione che tende a enucleare il grande evento e il grande nome lasciando nella nebbia il resto della manifestazione. È un rischio, ma è un rischio da correre, ponendo i dovuti paletti e usando le dovute cautele.
Ci sono però alcune cose che Milton – anche correttamente, visto che qui esprime il punto di vista di direttore del festival e non di editore – non dice, e che invece, secondo me, devono ora essere dette e diventare centrali nel dibattito.
Il festival, oltre a offrire alla cittadinanza milanese un evento culturale di buon livello e discreto impatto, ha soprattutto messo in relazione tra loro, come già detto varie volte, alcune realtà del mondo editoriale e non solo (artisti, scritttori, editori, gestori di spazi culturali pubblici e privati, istituzioni, librai) che hanno molti interessi in comune, che appartengono alla stessa “classe sociale” nell’universo culturale milanese, che hanno ambizioni comuni e, ci sia concesso, anche qualche comune avversario.
Se, dunque, pensando a una seconda edizione del festival è giusto muoversi con spirito ecumenico, dall’altra parte sarebbe necessario non disperdere questo patrimonio di relazioni e non perdere di vista quella “coscienza di classe” che dovrebbe accomunare organizzatori e protagonisti della prima edizione.
Sono fermamente convinto che da subito, già prima dell’estate, coloro che, con ruoli e compiti diversi, hanno con maggior passione animato il festival debbano sedersi attorno a un tavolo e discutere, con molto spirito pratico, la possibilità di mettere in comune relazioni, contatti, strategie e prospettive, al fine di trovare una soluzione alle problematiche, sicuramente comuni, che ci affliggono.
In questo senso il festival può e deve diventare il punto di partenza di qualcosa che vada ben oltre l’evento, che consenta di mettere insieme un gruppo di energie che singolarmente sono deboli ma collettivamente possono costituire una forza. E da qui partire per rendere possibile un effettivo accesso al mercato editoriale (o artistico), per trovare momenti di visibilità, per darsi finalità comuni e stabilire strategie conseguenti.
Il festival è una bellissima iniziativa, ma pensare di farlo crescere senza, nel contempo, far crescere anche coloro che lo hanno inventato, organizzato, gestito e animato rischia di diventare un’operazione autolesionistica, in cui chi fino a oggi si è speso con passione si riroverà a dover passare il testimone a operatori più grandi e consolidati.
Il rischio, per noi come per molti altri protagonisti del primo festival, mi sembra chiaro: se non saremo capaci di “fare sistema”, se anziché pensare alla dura attività quotidiana (e ai molto pragmatici conti in tasca) penseremo solo alla vetrina di giugno, probabilmente al prossimo festival non ci saremo. Non per un’avversione etica o filosofica a quel che potrebbe diventare in futuro il festival, ma, assai più semplicemente, per il banale motivo che nel frattempo molti di noi avranno cessato di esistere.


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