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Il festival di John Fante

Creato il 16 settembre 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

Aspetta primavera BandiniLa strada per Torricella Peligna è impervia, tutta curve, con tratti dissestati, in mezzo ai monti della Maiella. Lo spettacolo però è davvero bello. Il ritorno di sera è ancora più complicato. Ci siamo persi su una strada per Sulmona che sul navigatore del cellulare non esiste: ancora curve, boschi e montagne, prima al tramonto e poi nel buio più totale. Ma sempre bello. Di lupi non ne abbiamo visti, solo una volpe. Tutto questo per andare al Festival di John Fante.

La nona edizione del festival è dedicata a Charles Bukowski, lo scrittore che fece di tutto per ristampare i libri di Fante, quando era ormai da anni fuori catalogo, pressoché dimenticato. Fante era il suo scrittore preferito fin da quando, giovanissimo, scoprì Ask the Dust, Chiedi alla polvere, nella biblioteca pubblica di Los Angeles e ne rimase folgorato. All’epoca, come lui stesso racconta, era giovane, saltava i pasti, si ubriacava e si sforzava di diventare uno scrittore. Leggeva di tutto ma non trovava mai niente che gli piacesse.

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La macchina da scrivere di John Fante

Ed: “Ecco finalmente uno scrittore che non aveva paura delle emozioni. Ironia e dolore erano intrecciati tra loro con straordinaria semplicità. Quando cominciai a leggere quel libro mi parve che mi fosse capitato un miracolo, grande e inatteso”.
Da allora Fante divenne il suo dio.

Un altro folgorato da John Fante è Niccolò Ammaniti. Lo dichiara nella prefazione di Aspetta primavera, Bandini: “A scuola eravamo solo in tre a conoscerlo” e “avevamo fatto giuramento solenne di non diffonderlo” perché: “Fante era nostro e basta”.
Ammaniti voleva diventare uno scrittore come lui: “Il problema è che quella di Fante era una vita straordinaria. Viveva in America, era un immigrato italiano figlio di un muratore pazzo, con al posto di una madre uno strano ibrido tra una tigre e una suora. Era facile trovare cose da scrivere. Con una vita banale come la mia, l’unica era raccontare di mostri e astronavi sperse nell’infinito”.
Che dire di tanta ammirazione?
Che è ben riposta, visto che anch’io sono stata folgorata da Chiedi alla polvere, da La confraternita dell’uva e da Aspetta primavera, Bandini.

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Ospite del Festival di John Fante è il figlio Dan, anche lui scrittore, che accompagnato dalla moglie americana e dal figlio, ha donato la macchina da scrivere del padre e la sua stecca da bigliardo.
Il premio “John Fante opera prima” è stato assegnato a Luisa Brancaccio per Stanno tutti bene tranne me (vedi la sua intervista su

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e complimenti Luisa!). Nella giuria Francesco Durante, traduttore di Fante e uno dei massimi esperti dello scrittore. Gli altri due finalisti del premio sono Francesco Formaggi con Il casale e Riccardo Romani con Le cose brutte non esistono.

A Torricella Peligna ci sono anche Diego De Silva, Marcello Fois, Sandro Bonvissuto e dall’America è arrivato Stephen Amidon, l’autore de Il capitale umano. Il suo romanzo, ambientato nel 2001 nei ricchi ambienti del Connecticut, è stato trasposto a Como nel film di Paolo Virzì. Amidon ci racconta che prima di affidargli i diritti del romanzo ha visto i film di Virzì e gli sono piaciuti, in particolare Caterina va in città. Con il regista è nato un rapporto di amicizia e hanno parlato molto prima della realizzazione del Capitale umano film (vedi il trailer). Se gli si chiede com’è possibile che il romanzo si adatti a contesti tanto diversi come l’America di Bush nel 2001 e la Brianza contemporanea, Amidon risponde:

Il festival di John Fante
“In realtà viviamo in un mondo in cui i confini tra le culture stanno diventando sempre più permeabili, nel bene e nel male. Per molti versi il mondo di Virzì e il mio abitano un territorio comune. Condividiamo tutti le stesse cose. Gli italiani usano gli iPhone e guardano Breaking Bad, gli americani vorrebbero guidare una Maserati e indossare abiti di Armani”. Sono d’accordo, ma avendo molto amato il suo romanzo quando è stato pubblicato in Italia, ho trovato deludente il film di Virzì, anche perché a differenza del romanzo, è incline al grottesco.

A Torricella Peligna, paese di 1400 anime, si parla di emigrazione non solo perché John Fante è figlio di un muratore abruzzese, approdato nel 1901 ad Ellis Iland – l’isolotto nella baia di New York dove arrivavano gli immigranti che sbarcavano negli Stati Uniti – ma anche perché qui “in terra d’Abruzzi” è terra di migranti e ci sono stati altri “scrittori picconatori”. Alla fine John Fante è stato un emigrante di successo che partendo da una condizione di estrema povertà è diventato scrittore e sceneggiatore, raggiungendo il benessere economico.

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C’è un altro italo-americano che ho scoperto in questi giorni in Abruzzo: è Alfred Zampa. I suoi genitori, nativi di Ortucchio, nella vicina Marsica, sono emigrati in California. Zampa era un iron worker, cioè uno di quelli che stavano sospesi sulle travi a costruire ponti e grattacieli. Mentre costruiva il Golden Gate è caduto. Per miracolo è sopravvissuto e a quel punto è nata la sua leggenda. Appena in grado di camminare è tornato a costruire ponti e ha fondato l’associazione A metà strada tra il paradiso e l’inferno, una prima organizzazione sindacale per la tutela di questi lavoratori. In California è una leggenda, tanto che ha ispirato opere teatrali e libri. Ha lavorato sospeso sui ponti fino a 65 anni. E’ morto nel 2000, a 95 anni, e nel 2003 lo Stato della California gli ha dedicato un ponte. La sua storia è talmente bella che si meriterebbe anche lui un festival!


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