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Il fiato sul collo degli aumenti di capitale

Da Roxioni
Il fiato sul collo  degli aumenti di capitaleIl fiato sul collo  degli aumenti di capitaleOramai sia i colossi che le piccole banche, tutti chiedono soldi al mercato per aumentare la loro capitalizzazione in vista (molto lunga) del Basilea III e (per le più grandi) dei molto più vicini stress-test che saranno pubblicati entro fine giugno. Dopo i 7 miliardi già raccolti in 2 tranches da Unicredit e i 2 miliardi di Banco Popolare tocca ai 5 di Banca Intesa. L’estate ci accompagnerà con gli aumenti di Ubi, Mps e Bpm. Sperando che Unicredit e Banco Popolare non si facciano un secondo giro in autunno. Anche le banche non quotate rafforzano i capitali, a fari spenti, pressate dalla vigilanza di Banca d’Italia armata di Basilea III e di un patto non scritto con Tremonti. COLLOCAMENTI OBBLIGAZIONARI. Non da meno sono i collocamenti delle loro obbligazioni, come fosse vino sfuso della casa, con prospetti più pesanti della Recherche di Marcel Proust e spesso con i tassi in linea con i titoli di Stato a pari scadenza. Tralasciamo per comodità subordinati, perpetual, convertibili, ecc.
L'ONDA DELLA CANDIDATURA DI DRAGHI. Banche rafforzate, compratrici in ultima istanza del debito pubblico domestico, oltre a garantire un minimo di sostegno alla crescita economica, rafforzano la candidatura di Mario Draghi alla guida della Bce e ci posizionano in una sorta di limbo tra i Pigs e i virtuosi nordici, Standard & Poors permettendo.
Quando il dividendo diventa competitivo Il fiato sul collo  degli aumenti di capitaleI risultati del primo trimestre delle prime 40 società italiane quotate sono stati generalmente buoni considerando la crescita economica da prefisso telefonico: Unicredit per esempio, grazie soprattutto al trading, ha guadagnato 810 milioni con una prospettiva di quasi 3 miliardi di utile netto per l’intero 2011.
Più patrimonio, meno costo della raccolta in un contesto di crescita dei tassi fanno ben sperare. Grandi sofferenze e incagli, ma accantonamenti in proporzionale diminuzione.
UNICREDIT E LE CONTROLLATE ESTERE. Anche l’Agenzia delle entrate marca stretto e vuole il suo, come fa con le ganasce fiscali con noi poveri privati. Costanti riduzioni di personale, chiamati «efficientamenti distributivi e di processo», permettono riduzioni dei costi.
Sempre Unicredit capitalizza meno del doppio del valore attribuito dalle rispettive Borse alle controllate polacca e turca, Bank Pekao e Yapi Kredi Bankasi. Simili discorsi si fanno per Banco Popolare e la controllata Credito Bergamasco.
LA TRIMESTRALE BRILLANTE DI MEDIOBANCA. A parte l’aumento di Intesa guidato da Banca Imi e Bank of America, tutti gli altri vedono protagonista la più patrimonializzata Mediobanca, reduce da una brillante trimestrale, che deve garantire questi aumenti dopo aver imposto un forte sconto sulle nuove emissioni. Male che vada diventerà azionista a prezzi da saldo.
Nel caso di Intesa, il prezzo di 1.369 in rapporto di 2 nuove ogni 7 vecchie penalizza i vecchi soci e rende attrattiva la sottoscrizione in chiave strategica. Più azioni diluiscono gli utili, ma li rendono più probabili e il dividendo atteso diventa competitivo.
In chiave tattica, invece, poche illusioni.
IN VISTA DI ALTRI STRESS TEST. Sulla Grecia e forse su Portogallo ed Irlanda siamo più al quando che al se. Turbolenze per i titoli finanziari ci accompagneranno per tutta l’estate, ma in autunno potrebbe venire il loro momento.
Nessun banchiere centrale vuole affrontare i prossimi stress test con banche sottocapitalizzate creando un effetto imbuto, finito il quale con un graduale miglioramento dei conti ma dopo quasi tre anni di discese, la molla si carica. Dimentichiamo quindi ritorni sul capitale come nell’ormai lontano 2007, così come certi prezzi di carico dei cassettisti con dossier titoli sanguinosi.
NESSUNA FRETTA PER LA VENDITA. Ma se probabilmente è presto per comprare, è sicuramente tardi per vendere, per quanto sfiniti dalle medie al ribasso. Per Intesa è sensato, esaurita la fase tecnica, intervenire sul finale dell’aumento. Gli analisti considerano limitato il rischio contagio per il debito pubblico italiano, ma l’avvertimento di S&P non va sottovalutato. Senza riforme e crescita il rapporto debito/Pil non scende. fonte
Il fiato sul collo  degli aumenti di capitale

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