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Il fico è una pianta che si accontenta di poco, cresce un po' dappertutto, è praticamente infestante e senza bisogno di troppe cure si carica di frutti. Quello di casa mia in campagna sfama quattro o cinque famiglie di umani, due cani, un numero imprecisato di volatili. E poi ne avanzano ancora, di fichi.
Il mio ricordo di Beirut è un fico, un albero che ricresce. Il primo essere vivente a ripopolare uno slargo coperto di macerie, probabilmente un fabbricato nella sua vita precedente, prima dei missili e dell'ultima guerra. Questo fico cresce in attesa di essere cancellato con la ricostruzione e poi magari ricrescere ancora, dopo la prossima guerra.
Beirut città strana, di mare e di montagna, di movida furiosa ed estremismi islamici, di belle donne (spesso rifatte) e personaggi impresentabili, storico avamposto cristiano e masse musulmane che crescono, decine di etnie e religioni diverse che bene o male convivono, milioni di libanesi emigrati. Libanesi che stanno agli Arabi un po' come gli Italiani stanno all'Occidente: paese piccolo, brava gente un po' caciarona in giro il mondo, piccoli cialtroni ai quali dicono di tutto ma in fondo nessuno vuole davvero male.
Di Beirut non sapevo cosa scrivere. Ci sono stato tempo fa e ci tornerò a breve ma non mi veniva niente, a parte quel fico e l'hotel sforacchiato di proiettili che ormai è diventato un'attrazione turistica e non lo mettono a posto perchè va bene così. Poi ieri ho trovato un bell'articolo di Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore online e mi è venuta in mente questa introduzione. I passi più interessanti dell'aticolo ve li scrivo qui sotto, non lo riporto integralmente per evidenti questioni di copyrights. Ho cercato di sintetizzarlo rispettando il suo pensiero e la mia sensibilità, ho usato parentesi e puntini per segnalare dove ho tagliato e le pochissime aggiunte che ho fatto per ricostruire il senso. Spero sia leggibile e sporattutto spero che Tramballi non si incazzi...
Eccolo.
D'improvviso i grandi alberghi sulla corniche si sono (...) riempiti. "Les accrochages" alla frontiera con Israele, come chiamano con levità i libanesi tutti gli scontri a fuoco, hanno provocato solo un rapido moto di sopracciglio. Poi tutti in barca, nei ristoranti della costa e della montagna che la domina, nei negozi eleganti. Come gli abitanti della città, nemmeno i benestanti di ogni emirato del Golfo venuti a passare l'estate a Beirut hanno pensato al peggio. Nessuno ha creduto alla guerra e (...) i soldi da spendere a Beirut (sono) illimitati. (..) Il Centre Ville ricostruito da Rafik Hariri - la sua grande eredità lasciata al Libano insieme all'aeroporto - sembra esausto. Anche quest'anno (...) la stagione è abbondantemente salva. (...)
I libanesi, o meglio certi libanesi, si stanno arricchendo tanto quanto Hezbollah si sta rafforzando politicamente e militarmente. E il pericolo che il potere del secondo rappresenta per la stabilità del paese non ferma i primi dall'investire e dal guadagnare. (...) Il 2010 è solo arrivato ad agosto e le transazioni sono aumentate del 39,5%. (...) Sono soldi in gran parte dei libanesi espatriati. (...), i grandi mercanti in Africa, i professionisti in Europa e America. Più del 40% dei medici laureati in Libano negli ultimi 40 anni praticano negli Usa. Lavorano all'estero e si fanno la casa in Libano. Si costruisce in ogni quartiere di Beirut, ad Ashrafiye maronita, a Verdun sunnita, nella periferia meridionale sciita. Di spazio non ce n'è molto. A volte si radono al suolo ville antiche e bellissime (per fare spazio a) decine di grattacieli anonimi, alcuni (...) appena finiti, altri in costruzione (che) stanno cambiando il profilo della città. Per la prima volta Beirut incomincia a sembrare brutta, il suo caos distruttivo e costruttivo sta perdendo fascino.
Questa smodatezza in un senso e nell'altro è una forma di follia. Perché se nessuno ha creduto che lo scontro alla frontiera potesse rovinare l'estate, tutti sono convinti che presto o tardi la guerra ci sarà. Fra i cristiani nelle fresche serate di Brumana, una balconata sopra le luci della rada di Beirut; fra la borghesia sunnita e i pochi sciiti laici, nel profumo di narghilè e salsedine di Ain el Mraisseh, le discussioni sono solo sulla guerra. «Scoppierà, secondo lei?», (...) È una domanda retorica (...) le dita sono quelle che premeranno un'altra volta il grilletto, la mano è la solita: quella di Israele, dell'Iran, della Siria, (...) di Ezbollah.
(In un paese con 17 confessioni e molti sponsor internazionali) le stagioni politiche non durano mai a lungo e quella (degli accordi) di Doha (di due anni fa) si sta rapidamente logorando. (...) Hezbollah (...) ormai ha un'agenda sua, scritta più con gli iraniani che con i siriani (...) il campo sta raggiungendo un altro punto di rottura. Perché il Libano dovrebbe interrompere una ricostruzione così ricca? Perché qui l'economia non è mai stato un deterrente, perché dopo una distruzione c'è sempre una ricostruzione. E perché le estati libanesi non sono per tutti. Lo 0,5% della popolazione possiede il 45% dei risparmi bancari, mentre il 28% vive con 4 dollari al giorno. I medici praticano all'estero ma la metà dei libanesi non ha copertura sanitaria. I poveri sono sempre le prime e a volte entusiaste reclute di una guerra.
"Beirut si arricchisce aspettando la prossima guerra"Articolo di Ugo Tramballi, dal Sole 24 Ore online di mercoledì 18 agosto 2010
Nota: quello nella foto non è il vero fico di Beirut, ma rende abbastanza l'idea.
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