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Si può provare empatia, o anche solo un fugace moto di simpatia, nei confronti di personaggi come Benito Mussolini o la sua moglie segreta Ida Dalser? La mia sincera risposta è no.Questo film è registicamente notevole, le inserzioni del vasto archivio Luce sono utilizzate da Bellocchio in maniera ottima, spesso geniale, e (cosa non scontata) persino in maniera ironica. Un pregio che innalza il film a un livello cinematograficamente eccellente.Però il coinvolgimento emotivo, almeno per quanto mi riguarda, è stato molto basso. Filippo Timi è un grandioso Mussolini. Che questo sia un complimento o meno lo decida lui. La figura del Duce rimane comunque a parte, perché questa non è la sua storia e così -molto intelligentemente- a un certo punto del film Timi scompare (compaiono solo immagini di repertorio del Duce vero), così come Mussolini scompare dalla vita della Dalser. La getta nel cesso come una merda e poi tira l’acqua. O meglio, la getta in un manicomio e fa sparire ogni documento riguardante il loro matrimonio e il loro figlio, entrambi segreti e censurati.Strano che a Berlusconi non sia venuta in mente un’idea del genere con Patrizia D’Addario. O forse l’ha avuta ma non ha fatto in tempo ad attuarla?E se anche il Berlusca avesse da qualche parte un figlio segreto, un Pier Silvio Jr., e magari la madre fosse quella tizia? Com’è che si chiama? Ah, già… Noemi Letizia.
Tornando al cine, Giovanna Mezzogiorno nei panni di Ida Dalser Mussolini offre una buona prova d’attrice, ma è come se pure lei rimanesse distante da un personaggio che è sì stato vittima del Duce, ma che il Duce lo amava profondamente e che ne era fiera moglie. Si può provare pena per una donna del genere, questo sì, ma simpatia no.Lo psicologo che promette di farla uscire dal manicomio, nemmeno lui manterrà la promessa. E allora l’unico personaggio a cui sentirsi un minimo vicini é il figlio segreto, Benito Mussolini pure lui. Che con un nome del genere è difficile prenderlo in simpatia, però ispira se non altro una certa tenerezza.
Film quindi notevole, ma freddo. Non mi ha smosso dentro. Non mi ha provocato nemmeno odio (non più di tanto, almeno). Solo una certa tristezza per un periodo davvero merdoso della storia d'Italia che paradossalmente qualcuno non vede l'ora di far rivivere (in parte riuscendoci pure). Tale distacco emotivo può essere anche dovuto alla frammentarietà del racconto, necessaria visto che la storia si dipana su un arco temporale decisamente lungo; però allo stesso tempo non permette di entrare veramente dentro. Da vedere per conoscere una vicenda tenuta vergognosamente sotto segreto (che dietro ci fosse lo zampino del nonno di Minzolini?) e ancora oggi misteriosa e per ammirare le invenzioni di regia di un Bellocchio in ottima forma.Ai David di Donatello 2010, Vincere nonostante il titolo è stato battuto da L’uomo che verrà. Film ambientato poco dopo, verso la fine del trentennio fascista, altrettanto duro ma dotato di maggior cuore.(voto 6/7)
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