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Il figlio dell'altra, di Lorraine Lévy. Quando un incubo diventa un'occasione...
Creato il 13 marzo 2013 da MartahasflowersUna delle paure spesso non dette di ogni donna che ha appena partorito è la possibilità che il suo bambino possa essere scambiato con un altro neonato.
È proprio quello che succede alle due famiglie protagoniste di Il figlio dell'altra, in sala da domani. Solo che a rendere il tutto ancora più complicato e tragico in questo film denso ed emozionante, è che una famiglia è ebrea e vive a Tel Aviv, l'altra è palestinese e vive rinchiusa in Cisgiordania.
Il fattaccio viene fuori quando ormai sono passati 18 anni dalla nascita di Joseph e Yacine e ovviamente è uno choc devastante per tutti: per i due ragazzi, che si ritrovano a dover ricostruire la propria identità (l'ebreo non è più ebreo, perché sua mamma è araba; e l'arabo, che è invece ebreo, scopre di essere “il nemico” per definizione); è uno choc per i genitori, che amano il figlio che hanno cresciuto, ma si ritrovano a conoscere quello che hanno perduto, a constatare con sgomento somiglianze, a intuire affinità. Ma è uno choc anche per le due comunità, così definite, chiuse e ostili l'una contro l'altra, che scoprono di avere accolto come loro membro chi, per sangue, non ne avrebbe diritto.
È un modo interessante quello di Lorraine Lévy, regista francese di origine ebraica, di affrontare un tema delicatissimo e attuale (attuale da più di cinquant'anni, purtroppo) come quello dello scontro tra israeliani e palestinesi. La Lévy infatti sceglie di rappresentare questo conflitto concentrando il fuoco sul dramma di gente comune.
Storie piccole per interrogarsi sulla Storia e per suggerire soluzioni che non stanno nelle mani dei potenti, capaci finora solo di aggredirsi e costruire muri, ma nel cuore delle persone coinvolte loro malgrado nella tragedia di due popoli ridotti a essere nemici.
Chi più di tutti riesce a trovare una via per accettare e affrontare l'assurdo scambio sono le due donne, la madre di Joseph e quella di Yacine, che con coraggio e amore sanno tessere fili che porteranno non solo a un avvicinamento dei due ragazzi tra di loro, ma spingeranno le due famiglie a conoscersi, a superare la diffidenza e il rancore.
Se infatti i padri restano paralizzati dalla rabbia e appaiono desiderosi solo di far finta di niente perché per un uomo il figlio è quello che è stato cresciuto ed educato fin dal primo vagito, le due madri non possono essere sorde al richiamo di un amore materno che passa con violenza anche attraverso la carne. Loro non possono voltare la schiena a chi comunque hanno portato in grembo per nove mesi. Le donne, che danno la vita, non possono costruire muri, perché è nella loro natura aprire porte. Così come i due ragazzi che si sono trovati con la vita scambiata non possono mettere a tacere la loro curiosità verso la vita che non hanno vissuto e la madre che non hanno avuto.
Ci sono, nel film, sequenze dove questa tensione tra madre e figlio è rappresentata con grande sensibilità. Sequenze commoventi, che solo una donna poteva girare con tanta potente e silenziosa delicatezza.
La speranza quindi, per Lorraine Levy, sta nelle mani delle donne e delle nuove generazioni, se sapranno superare le barriere innalzate dai loro padri, se sapranno incontrarsi, conoscersi, riconoscersi. Per scoprire, che prima di tutti, sono uomini.