Andiamo al Cinema
Sonderkommando è il termine utilizzato per indicare i prigionieri di un campo di concentramento utilizzati dalle SS per i lavori di manutenzione e di smaltimento del campo stesso.
Saul è uno di loro.
Saul accompagna i nuovi prigionieri giudicati già degli scarti, alle docce, li aiuta a spogliarsi, li spinge in quelle che apparentemente sono bagni dove pulirsi per poi chiuderli dentro, sentirne le grida, pulirne il sangue e disfarsi nei forni dei loro corpi.
È la routine, almeno per qualche mese, almeno finchè anche Saul non verrà giudicato uno scarto e chiuso in quella doccia.
Lo sguardo fisso, la meccanicità dei suoi gesti, si interrompono quando il corpo di un ragazzino, inspiegabilmente ancora in vita, viene recuperato. I respiri affannosi che lo fanno sussultare saranno comunque gli ultimi, ma da quel momento tutto cambia, tutte le priorità e le attenzioni vengono meno: Saul vede in quel corpo il corpo di suo figlio, e farà di tutto, rischiando la sua, e anche la vita degli altri, per dargli un funerale dignitoso, con un rabbino, una terra a coprirlo.
La sua testardaggine andrà contro i suoi compagni, che stanno organizzando una fuga improbabile e quasi impossibile, andrà contro le regole di un dottore prigioniero come lui, andrà contro la logica della sopravvivenza.
Questa sua testardaggine, rende Saul un personaggio difficile da incasellare, difficile da comprendere.
Lo si odia, lo si ammira, lo si vorrebbe fermare, lo si vorrebbe aiutare.
È un gesto umano quello che vorrebbe compiere, un gesto che ci rende umani e ci distingue da quei pezzi ammucchiati senza riguardo, bruciati e spazzati in cenere dentro al fiume.
È un gesto umano in un luogo dove l'umanità non è più di casa,e poco gli importa di morire, visto che la morte è già dentro di lui.
Allo stesso tempo, però, questo gesto pur essendo umano, pur essendo giusto, ci sembra sbagliato, futile, di fronte ai pericoli che comporta, alle vite che spezza.
E la faccia granitica, i modi bruschi, non aiutano Saul ai nostri occhi, mettendoci in una posizione ambigua, combattuta.
Fino alla fine.
Perchè Saul lo si segue, gli si sta appresso in questi due giorni in cui il lavoro sembra non finire, i "pezzi" neppure.
La macchina da presa è incollata a quella croce rossa dipinta sulla sua schiena che lo contraddistingue, si sostituisce al suo sguardo, lo guarda rischiare la vita, rischiare la morte. Da lui si stacca per poco, si stacca veramente solo in un finale dove finalmente si respira, dove tra gli alberi si lascia andare il fiato, finora carico del fumo delle ceneri, del calore del fuoco, dello sporco delle camerate.
Girato in un formato ridotto che rende ancora più claustrofobica la visione, in 35mm, il film di László Nemes al suo esordio, porta dentro a tutti i dolori e all'insensatezza dei campi di concentramento, facendoceli vivere e respirare, facendoci provare quel dolore senza speranza, senza un senso.
Candidato agli Oscar come miglior film straniero, e probabile vincitore, lascia lo spettatore, ha lasciato me, annichilita di fronte a questo male che appare ancora più insensato.
In questo mondo a parte, in queste pagine di storia che si vorrebbero cancellare ma che vanno invece ricordate, commemorate, per non dimenticarle, in cui anche un funerale, anche la dignità di un corpo, di un bambino, ci appare inutile, ci sembra un errore.
E non è in un sorriso che troviamo la pace, o la ragione, ma troviamo invece di che riflettere, di che rimanere scossi.
Regia László NemesSceneggiatura László Nemes, Clara RoyerMusiche László MelisCast Géza RöhrigIl TrailerSe ti è piaciuto guarda anche:Schindler's List, La Vita è Bella, Il Bambino con il Pigiama a Righe
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