Photo: courtesy of Lucky Red
Ricordo le prime uscite pomeridiane senza adulti al seguito, con gli amici, in zona Duomo a Milano. E ricordo le raccomandazioni degli zii di non dare retta ai vari venditori di false promesse, libri, ammennicoli e strani Dei. Per anni non ho capito a cosa si riferisse quella frase. Poi, un giorno, dal finestrino di un tram li ho visti. Per oltre un lustro ero passata a fianco ai “dianetici” e li avevo scambiati per i ragazzi piazzati dai negozianti a fare i butta-dentro e il volantinaggio. Parlo dei giovanotti, ben vestiti, sorridenti che fanno proselitismo di un movimento tanto lontano da me da faticare a comprendere come possano accattivarsi anche un solo passante.
È trascorso molto tempo da allora e ancora oggi, nonostante la moda, il tanto chiacchiericcio legato alle super-star hollywoodiane, il fascino di Scientology ai mie occhi rimane un vero mistero. E ogni volta che l’argomento torna alla ribalta, sorge sempre la medesima domanda: siamo davvero tutti tanto prevedibili e vulnerabili? Pare proprio di si.
Facciamo però un passo indietro e conosciamo i tre protagonisti della nostra storia.
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Il primo è il signor L. Ron Hubbard, il fondatore di questo gruppo. Negli anni ’30 faceva lo scrittore e deteneva addirittura un record di battute al minuto. La sua fantasia era così fervida da riuscire a scrivere e pubblicare, sulle maggiori riviste americane, un numero esorbitante di racconti (si parla di più o meno 10.000). Non stupisce quindi che il suo Dianetics, una sorta di manuale per comprendere e migliorare le potenzialità degli esseri umani, in base a una fantasiosa teoria, divenne rapidamente un best-seller in barba alle critiche della comunità scientifica. Il punto è che quel libro (erano gli anni ’50) gettò le basi dell’odierna Scientology, e ciò ha del paradossale.
Il secondo è Lawrence Wright, stimato giornalista, vincitore del premio Pulizer. È colui che anni fa raccontò la storia del regista Paul Haggis e della sua clamorosa uscita da Scientology. Dopo la prima intervista, infatti, iniziò a condurre un’inchiesta che confluì nelle pagine del libro “Il Trasfuga, Scientology a Hollywood” (Adelphi).
Il terzo è Alex Gibney, regista premio Oscar® per il documentario “Taxi to the dark side”. Autore noto per girare le sue opere in modo che abbiano un impatto visivo degno del miglior lungometraggio di finzione, un taglio che catturi quanto un action e trattino argomenti scottanti, controversi, importanti, che coinvolgano il pubblico.
Questi tre uomini sono uniti dal film GOING CLEAR: SCIENTOLOGY E LA PRIGIONE DELLA FEDE che, dopo la presentazione al Sundance 2015, e l’anteprima europea al Biografilm Festival, arriva domani nei cinema italiani.
Il film di Gibney si basa sulla ricerca di Wright e si sviluppa attraverso i racconti di alcuni membri che hanno lasciato la comunità dopo decadi di frequentazione, dopo aver ricoperto ruoli importanti al suo interno, dopo aver realizzato che qualcosa non stava andando per il verso giusto. E l’immagine che ne emerge è piuttosto inquietante.
Bizzarre fantasie del signor Hubbard a parte (degne di un romanzo), pare che coloro che vi aderiscano siano attirati dalla promessa di riuscire ad esprimere meglio il proprio potenziale, di poter ambire ad una vita al massimo e di contribuire attivamente a creare un mondo migliore. Quindi, come dar loro torto?
Le pratiche a cui sono sottoposte queste persone, le regole che accettano, le donazioni che devono elargire per poter progredire nella gerarchia dell’organizzazione, che dall’esterno ci lasciano tanto perplessi, non sembrano però sufficienti a far scattare in loro l’istinto di sopravvivenza. E siamo difronte a gente brillante, con un’educazione superiore, proiettata al successo che si lascia plagiare in nome di teorie senza fondamento e riconoscimento. Incredibile, vero?
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I dettagli, i racconti, le prove mostrate sono disarmanti. Si parla di ricatti, vessazioni, percosse, induzione all’aborto e molte altre cose ai limiti dell’illegalità. Le testimonianze catturano lo spettatore che solo al termine della proiezione si rende conto siano trascorse due ore. Perché GOING CLEAR: SCIENTOLOGY E LA PRIGIONE DELLA FEDE è avvincente, è carico di suspense e ha una drammaticità inattesa. Gli intervistati, infatti, sono i primi ad essere increduli e provano vergogna di essersi lasciati plagiare per decadi. Oggi, quindi, non possono fare a meno di impegnarsi attivamente (mettendo a repentaglio credibilità, carriera e in alcuni casi incolumità) affinché si sappiano i rischi più o meno occulti di un percorso da cui non è semplice uscire.
Dopo aver visto il film, che alterna saggiamente momenti inquietanti ad altri più colorati che ci fanno sorridere, la sensazione è di preoccupazione. Il timore è da un lato che gli individui coinvolti nella realizzazione del progetto abbiano corso – e corrano – dei pericoli seri e, dall’altro lato, che l’umana ricerca di certezze ci renda vulnerabili ben oltre quanto crediamo.
Convinzioni personali a parte, l’opera di Gibney è scorrevole, stimolante e non fa la morale a nessuno. E’ compito del pubblico elaborare immagini e racconti.
Vissia Menza
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