Il giorno dopo la presentazione alla stampa di “Queen of the Desert”, il mormorio mattutino è tutto dedicato a Werner Herzog. Si sente solo una domanda: “Cosa ne pensi del nuovo lavoro del cineasta tedesco?”. Siamo inebetiti, anzi tramortiti, decisamente disorientati da quanto abbiamo visto ventiquattro ore fa. Continuiamo a temporeggiare, per metabolizzare ogni fotogramma e decidere se promuovere quello che potrebbe essere un divertissement di chi ha raggiunto i 70 (anni) oppure stroncare e rapidamente dimenticare una pellicola che non si comprende, che vaga senza senso ed è farcita d’ironia in-volontaria (?).
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La trama attinge dalle gesta di Gertrude Bell, la spavalda e colta donna britannica che all’inizio del 1900 si trasferì in Medio Oriente e viaggiò attraverso il deserto noncurante di guerre, rivalità e scontri tra tribù. A questa impavida archeologa e scrittrice, che attraversò gli attuali Iran, Giordania, Siria, Arabia Saudita e molti ancora, dobbiamo gli attuali confini di quei luoghi. Si narra, infatti, che fu lei l’artefice, l’abile politico dietro le quinte, che ristabilì l’ordine tra tutti dopo il primo conflitto mondiale. L’enorme conoscenza e la voglia di non vivere costretta tra quattro mura sorridendo, al fianco di un uomo intimorito della sua cultura, e un amore finito in tragedia poco dopo, sembra siano stati i propulsori di un’impresa che ancora oggi è da considerarsi estremamente pericolosa, anzi folle.
Werner Herzog porta a Berlino 2015 un film inatteso, in pompa magna, con un cast all stars da prima pagina. Nicole Kidman, James Franco e Robert Pattinson sono solo tre nomi di una lunga lista. L’attesa nel Palast era quindi altissima e le prime inquadrature ci hanno ben disposto. La fotografia, quel deserto impalpabile, quasi fluttuante ci piace. L’attenzione per le musiche ci colpisce. La scenografia cattura la nostra attenzione e l’entrata in scena dell’algida e – qui – determinata Nicole (Kidman) ci mette sull’attenti. Non siamo quindi per nulla preparati a ciò che invece in poche battute capiterà: una trama che oscilla tra l’improbabile mélo e l’avventura, un’opera che pare cercare senza sosta una direzione e alla fine, non trovandola, chiude il cerchio riprendendo la vena amorosa con poca convinzione.
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Il pathos latita, la melassa non scorre, l’azione e la suspense si sono presi una vacanza e io scuoto la testa, spero ardentemente che il regista si sia voluto togliere un sassolino dalla scarpa, nel qual caso mi inchino e inizio ad applaudire perché ha colpito nel segno: i dialoghi fanno sorridere e in pochi minuti provocano un ‘esplosione di ilarità collettiva, James Franco (che a questa edizione del festival si presenta con ben t-r-e pellicole) sfiora il ridicolo nei panni del pretendente di Nicole Kidman (che, se l’anagrafe non mi inganna, potrebbe essere sua sorella… maggiore) e Robert Pattinson nei panni di Lawrence d’Arabia ci fa percepire il vuoto che ha lasciato Peter O’Toole.
Da estimatrice di Werner Herzog spero in futuro di trovare una risposta al “perché?!?” che echeggia senza sosta nella mia testa. Nel mentre, passo al prossimo film.
Vissia Menza