Magazine Diario personale

Il filo

Creato il 10 agosto 2013 da Pecchio @lapitwit

Luglio-Agosto 2013

Mio padre mi ha presentato, il 16 Settembre 1937, a don Orione in persona.

Don Orione era appena tornato, un mese prima, dalla sua ultima missione che svolse in America.

Quindi, a Tortona, il 29 Agosto celebrò la festa della Madonna della Guardia e riprese, così, la sua attività.

Il mio parroco, in seguito ad una questua delle vocazioni, mi indirizzò da lui.

Don Orione era ormai anziano però ebbi alcune occasioni di incontrarlo e, quindi, di potergli parlare.

Così, una volta, fui incaricato, con un altro mio compagno, di andare da lui perché benedicesse una statuetta di S. Luigi che era il patrono della nostra camerata e, perciò, potei parlare con lui.

Quando ebbi terminato il primo anno di ginnasio andai a Voghera.

Lì studiai per un anno e don Orione, abbastanza sistematicamente, veniva a trovarci una volta o due al mese.

Poi fui trasferito a Montebello della Battaglia dove proseguii gli studi.

Mentre mi trovavo lì don Orione, nel 1940, morì.

L’ultima volta che venne da noi ci parlò dicendoci che sarebbe tornato, certamente, a trovarci.

Invece, il 12 Marzo 1940, don Orione, a Sanremo, morì.

Noi rimanemmo un po’ male perché ritenevamo don Orione un santo e, quindi, credevamo che avrebbe potuto, certamente, prevedere il suo futuro.

Comunque, ci siamo, abbastanza, tranquillizzati.

Infine, quando don Orione morì i suoi amici lo vollero non solo in un funerale solenne a Genova ma anche a Milano.

Tornando, quindi, verso Tortona fece sosta a Montebello della Battaglia e, allora, in tale modo don Orione mantenne la sua promessa: rimase lì parecchie ore in attesa che, intanto, i sacerdoti e tutti coloro che accompagnavano la salma potessero mangiare qualche cosa e, così, noi abbiamo potuto avere, qui, per due o tre ore, la possibilità di tenere ancora don Orione nella nostra casa.

Don Orione fu per me come un ideale senza offuscamenti; era un uomo molto serio, severo per quanto riguardava il nostro inserimento nella vita liturgica e il nostro impegno nello studio.

Quello che ci faceva vedere le cose, comprenderle, amarle, con l’ottica, con l’intuito e con l’amore di don Orione era la cura delle persone abbandonate.

Allora si chiamavano i “reietti della società” mentre don Orione voleva che si chiamassero i “buoni figli”: ragazzi, persone che avevano handicaps oppure erano abbandonate dalla famiglia; “i nostri padroni” diceva anche; coloro per i quali noi dobbiamo dare tutta la nostra vita.

Queste idee ci hanno fatto uomini ed io, nella mia vita, ebbi la gioia, la fortuna di essere inserito nell’Opera di don Orione e la mia attività iniziale fu quella della cura di orfani e di “sciuscià” nel 1945 in Trastevere.

Don Ferdinando Dall’Ovo (a cura di Luca Lapi)


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