Il filo verde del Commercio Equo

Creato il 03 novembre 2011 da Progettiambiente

Quello tra commercio equo e rispetto dell’ambiente è un legame di vecchia data: infatti fin dai suoi esordi (anni ’60) il CES si è posto come obbiettivo non solo lo sviluppo di un modello di produzione e scambio di merci più giusto tra Nord e Sud del mondo, ma anche la promozione di un sistema sostenibile dal punto di vista ambientale. Questo perché l’elaborazione di una corretta gestione ambientale del processo produttivo ha sempre rappresentato il presupposto fondamentale per produrre benefici economici e sociali per le popolazioni dei Paesi del Sud del mondo. Da un primo sguardo dunque sembrerebbero movimenti con obbiettivi assolutamente compatibili, in realtà non sono mancate difficoltà nella concretizzazione di una salda politica verde. Precisamente il rischio che si corre lavorando in Paesi in cui la riduzione della povertà è una vera e propria emergenza è quello di preferire strategie in grado di apportare benefici immediati, piuttosto che elaborare ed attuare azioni finalizzate al miglioramento ambientale, economico, sociale ed istituzionale nel medio-lungo periodo. Ciononostante oggi, il movimento delle organizzazioni di Fair Trade propone un’attenzione ambientale che coinvolge l’intero ciclo di vita dei prodotti: dalla fase di produzione a tutti i livelli di commercializzazione dei prodotti (con diverse modalità e intensità).

È interessante guardare nello specifico in cosa consiste questo impegno nella green economy. A livello internazionale, IFAT (International Fair Trade Association) ha definito precisi standard (10 criteri) che le organizzazioni aderenti a questo network devono rispettare. Il nono punto di questo elenco riguarda la tutela ambientale; incoraggia l’uso di materie prime derivanti da fonti gestite in modo sostenibile, l’utilizzo di materiali biodegradabili per gli imballaggi, promozione di tecnologie che rispettino il territorio e sostegno ad azioni di sensibilizzazione circa i rischi ambientali [ 1 ] . Il rispetto di questo standard è verificato nelle diverse fasi da un sistema di monitoraggio che opera su tre diversi livelli: attraverso la compilazione da parte degli associati dei cosiddetti moduli di Self-Assessment (autodichiarazione), passando po i per il Peer Reviewing (verifica tra pari) e infine tramite l’External Verification (verifica esterna). Gli standard sono poi declinati in modo specifico per cinque differenti aree tematiche ( Asia, Africa, America Latina, Nord America e Pacifico) in modo tale che ogni organizzazione di produttori, di esportatori, di importatori o di distribuzione e vendita di prodotti di commercio equo sia impegnata su punti specifici in base al contesto in cui opera.

A queste linee guida generali dettate da IFAT se ne affiancano delle altre il cui rispetto è garantito dalla FLO – Fair Trade Labelling Organization, ossia l’ente internazionale di certificazione dei prodotti di commercio equo e solidale che permette a più di 800.000 produttori e lavoratori di più di 45 paesi in via di sviluppo di trarre beneficio dai prodotti marchiati. Nel sistema FLO, accanto a criteri relativi allo sviluppo economico e sociale, sono stati sviluppati indicatori specifici per la tutela ambientale. Nel dettaglio, gli standard ambientali sono articolati in standard minimi, che definiscono una soglia di entrata, e standard “di miglioramento” che, valutando tipologia e dimensioni della realtà produttrice, sono raggruppati i nei nuclei relativi al sistema di gestione e ad alcune tematiche precise, tra cui:

1.Valutazione dell’impatto, pianificazione e monitoraggio
Si richiede, con modalita appropriate alla tipologia e alle dimensioni dell’organizzazione/aziendaproduttrice, una valutazione dell’impatto ambientale delle attivita svolte e un piano di azioni correttive e di verifica degli effetti.

2. Utilizzo di prodotti agrochimici

Si richiede la riduzione continua dei prodotti chimici usati direttamente o indirettamente nella produzione agricola e nella manutenzione degli impianti di lavorazione e la loro sostituzione con metodi di produzione biologica.

3. Gestione dei rifiuti
Si richiede che le organizzazioni riducano, riutilizzino, riciclino e suddividano i residui organici in modo appropriato.

4. Suolo ed acqua
Si richiede il mantenimento e il miglioramento della fertilita della composizione del terreno, la conservazione e non contaminazione delle risorse idriche.

5. Fuoco
Si richiede che venga impedito l’uso del fuoco come sistema di pulizia dei campi.

6. Organismi Geneticamente Modificati (OGM)
Si richiede di non utilizzare OGM nella produzione e nella lavorazione dei prodotti.

Infine, FLO pubblica una lista di materiali il cui utilizzo e proibito. Questa lista contiene 128 elementi tra cui pesticidi, insetticidi, diserbanti, fungicidi, conservanti, ecc., che non possono essere utilizzati dai produttori che coltivano prodotti certificati FLO. Questo divieto si applica a tutte le attività in cui e coinvolto il produttore: coltivazione/produzione,trattamento post-raccolto, lavorazione, immagazzinamento, trasporto, ecc.

[ 1 ] Art.9 “L’organizzazione ottimizza l’uso delle materie prime derivanti da fonti gestite in modo sostenibile, acquistandole, ove possibile, a livello locale. Compratori ed importatori prediligono l’acquisto di prodotti realizzati con materie prime derivanti da fonti gestite in modo sostenibile, se disponibili, e incoraggiano i rispettivi fornitori a ricorrere a tali materie prime. Per il confezionamento vengono utilizzati materiali riciclati o facilmente biodegradabili e, se possibile, le merci vengono spedite via mare. L’organizzazione promuove l’uso di tecnologie che rispettino l’ambiente, sostiene le iniziative volte a ridurre il consumo energetico e sensibilizza l’opinione pubblica sui rischi ambientali”

Autore: Sara Colombo


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