Cena tra amici, Rai Movie, ore 23,30.Cena tra amici, regia di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière. Con Patrick Bruel, Charles Berling, Valérie Benguigui, Judith El Zeinn, Guillaume De Tonquedec, Françoise Fabian.
Sinistra contro destra: Pierre contro Vincent.
Titolo italiano sballato, perché in realtà si tratta di una cena tra parenti: due coppie più un singolo. Si incomincia a litigare per il nome di un pupo in arrivo (“non potete chiamarlo Adolphe come Hitler!”), poi lo scontro si allarga e diventa devastante. Tutti contro tutti, radical-chic contro suvisti-abbronzati di destra. Ogni bon ton è dimenticato. Un gioco al massacro che ricorda Carnage di Polanski/Yasmina Reza, però più verace, anche più divertente. Il film parte molto bene, poi un po’ annaspa e si perde nel sentimental-mélo, ma resta un esercizio riuscito di intelligenza e perfidia. Da un testo teatrale. Remakizzato l’anno scorso da Francesca Archibugi come Il nome del figlio (ma questo è meglio). Voto: 7Ma perché un film che in origine si chiama Le Prénom, Il nome, deve diventare Cena tra amici? Che poi neanche di cena tra amici si tratta, ma tra quattro parenti, più un amico quasi-parente. Oltretutto nella mala traduzione si perde il giochino dei titoli di testa, tutti con nomi (dei registi, degli attori, ecc.) e niente cognomi. Che viene da chiedersi se quelli che hanno ribattezzato il film nella versione italiana l’abbiano poi visto davvero. Ma basta così, inutile accanirsi contro le approssimazioni dei distributori, inutile lamentarsi, che si rischia di essere patetici e di precipitare nel qualunquismo cinecritico, tanto si sa come va il mondo. Dunque, intorno alla scelta del nome per un bambino ruota Cena tra amici o almeno la sua prima parte, quella che poi porterà agli abbastanza esplosivi sviluppi successivi. Film parlato, parlatissimo, teatro filmato (e dunque i puristi dello specifico filmico di astengano), derivando da una pièce di grandissimo successo dei due autori-registi, che la ripropongono qui pari pari con gli stessi interpreti o quasi (l’unica new entry rispetto allo spettacolo è Charles Berling nel ruolo di Pierre). Siamo a Parigi, non ricordo più in quale arrondissement (l’ottavo?). Per la precisione, siamo a casa di Elisabeth e Pierre, coppia gauchiste che abita con i due figli in un bell’appartamento pieno di libri però al quinto piano senza ascensore (goscismi, appunto, alternativismi). Si aspettano gli invitati alla cena. Arriva l’amico d’infanzia di lei Claude, ora di professioni orchestrale trombonista, soprattutto arriva il fratello di lei Vincent, agente imobiliare dotato di Suv e perenne abbronzatura, tipo umano-social-antropologico all’opposto dei due gauchiste, del genere che da noi chiameremmo berlusconiano. Si attende pure che arrivi la bionda moglie di lui, Anna, che proprio in giornata ha avuto la conferma dall’ecografia di essere incinta di una maschio. Tutto è pronto per il gran gioco al massacro che di lì a poco scoppierà, i protagonisti della partita sono ai loro posti, e intanto Elisabeth, da goscista-terzomondista, sta preparando una cena marocchina con tajine e couscous. La bomba deflagra a couscous non ancora arrivato in tavola allorché il berluscones parigino comunica al cognato e alla sorella che lui chiamerà il rampollo in arrivo Adolphe, come il protagonista del romanzo di Benjamin Constant. “No, non puoi chiamarlo come Hitler”, si scandalizza, indigna, incazza la coppia de’ sinistra-politically correct. “Ma questo è Adolphe, quell’altro è Adolf. Adolf con la effe!”, “Che c’entra, si pronuncia allo stesso modo”. Incomincia lo scontro a sangue in cui ogni buona maniera, anzi ogni bon ton (siamo a Parigi) viene dimenticato, altro che educazione borghese, altro che rispetto delle opinioni altrui. Non ci vuole molto ad arrivare all’insulto e quasi allo scontro fisico. Non prende posizione l’amico Claude, il suonatore di trombone, fa il terzista e si becca l’accusa infamante di fare lo svizzero neutrale. Insomma, signori, ci si diverte molto davvero, e sembra di assistere a Carnage di Polanski-Yasmina Reza però con meno pretese e più risate, anche perché a confrontarsi stavolta non sono due coppie estranee ma della stessa famiglia, e dunque il jeu de massacre è più crudele, va a sfrucugliare nel solito rimosso romanzo familiare e colpisce duro. Quando poi arriva anche Anna la situazione precipiterà. Da quel momento sarà, come si diceva al tempo della guerra in Vietnam e relative contestazioni, un’escalation, sarà tutto un rimbrottarsi e rinfacciarsi (“non accetto critiche sul nome di mio figlio da parte di uno che ha chiamato sua figlia Mirtille!” “ma perché da piccoli a te papà e mamma perdonavano tutto, concedevano tutto, e a me no?” ) e farsi del male: tra i due cognati innanzitutto, che sono i due galletti del pollaio, i due maschi alfa, oltretutto su posizioni politiche opposte. Ma anche tra le due cognate, poi tra fratello e sorella, poi tra marito e moglie, poi tra amici d’infanzia. A tutti, a turno, tocca essere il soggetto e l’oggetto di veleni e recriminazioni, carnefice e vittima. Fino alla Grande Rivelazione che lascerà sbalorditi tutti e scatenerà la battaglia finale. Resterà un campo di macerie. Niente paura però, perché alla fine si rimedia e tutto si ricompone nel nome degli affetti. La famiglia vince, è più forte di tutto. Ora, si tratta di teatro borghese-boulevardier di pura marca parigina, di illustrissima e anche vetusta tradizione, però aggiornato alle manie, ai tipi umani e disumani, alle cronache e cronachette dell’oggi. I dialoghi scintillano, le battute affondano come lame nel corpo delle vittime, c’è parecchio sano disincanto, parecchio cattivismo. Gli attori sono perfetti (e le loro performance reggono perfino alla tortura del doppiaggio). Certo, non siamo mica al capolavoro, il gioco vuole soprattutto divertire e non va mai troppo in là, mica ambisce a farsi critica sociale, non attacca mai davvero cattivi usi e cattivi costumi, cerca il finale consolatorio e la via di fuga sentimentale. La costruzione drammaturgica perde qualche colpo, ha qua e là dei vuoti, qualche passaggio è brusco e artificioso. Se l’inizio, con la presentazione dei vari personaggi e la disputa sul nome Adolphe è irresistibile, subentra poi qualche lentezza, qualche zona morta. L’allargamento dello scontro sul nome del pargolo alla guerra generalizzata, al tutti contro tutti non è così coerente e logico, ma non lamentiamoci, avercene di film così, intendo di film medi-mainstream così ben fatti, così ben scritti. In Francia gli spettatori sono accorsi in massa, qui Cena tra amici non ha avuto lo stesso travolgente impatto, ma un suo pubblico lo ha trovato. Non appare poi così lontana, Parigi. Pensavamo che l’abisso quasi antropologico, di valori, di stili, di maniere che divide gli chic di sinistra e i volgari di destra/berlusconiani fosse una faccenda solo nostra, solo italiana, invece dal film vediamo che in Francia è lo stesso. L’odio di Pierre, docente alla Sorbonne, per il cognato con Suv e abbronzatura e soldi è uguale a quello dei nostri radical chic, gauche caviar o bo-bo (bourgeoisie bohémienne) per il popolo già berluscoide. A proposito di bo-bo: ai ragazzi di Les Inrocks Le Prénom/Cena tra amici non è piaciuto niente, l’hanno stroncato assegnandogli il punteggio minimo e accusandolo di essere strabordante di cliché. Vero, però si tratta di cliché che centrano piuttosto bene il bersaglio e usati con parecchio acume. Nella parte della madre di Elisabeth e Vincent, che a un certo punto della storia assume un ruolo centrale, si rivede con gran piacere Françoise Fabian, sì, proprio l’eroina del più bel film di Rohmer, La mia notte con Maud, anno 1969, dove in una invernale Clermont Ferrand faceva perdere la testa a Jean Louis Trintignant. Come si dice nelle portinerie: però, è sempre una bella signora.