Una volta per sposarsi bastava un prete, invece oggi davvero vale il detto della nonna: “Senza soldi non si cantano messe”. La notizia bufala ha fatto venire “la voglia dell’altare” persino agli indecisi, perché il contributo non sarebbe stato malvagio visto i costi esorbitanti di un matrimonio al giorno d’oggi. Ho pensato subito al “mio caro Sud” dove vince il detto “Cumpà, facimme a chi mette ‘a copp!”. In vista delle nozze gli sposini subiscono lo stress dei costi e la minaccia del business gonfiato intorno al “fatidico sì”. Dalle parti mie non provate a far incazzare ristoratori, fotografi, parrucchieri e fioristi che hanno imparato a memoria la solita filastrocca: il giorno più bello per gli sposi si paga.
Venticinque mila euro di incentivo ci farebbero comodi per soddisfare anche il divimo modaiolo dei fioristi, che oggi marciano in passerella e propongono cifre da capogiro per tappeti di fiori che dalla casa della sposa arrivano fino alla chiesa. Bisognerebbe avere il coraggio di dire no a tutto questo tam tam. Non per puntiglio, bensì per la dignità che ci hanno donato i nostri “nonni contadini”.
Il matrimonio felice della contrada, in una cartolina in bianco e nero del Secondo Dopoguerra, con il monello di mio padre e i suoi amichetti che passavano da una festicciola all’altra per mangiare qualche dolcetto. La sposa era bellissima con l’acconciatura fatta dalla vicina; lo sposo era radioso nell’unica foto in posa che veniva scattata; gli invitati erano soddisfatti del banchetto nunziale preparato in casa; la festa era indimenticabile nella cornice dei fiori del giardino tra petali profumati.
Lo scherzo dell’incentivo di 25 mila euro è stato un Pesce d’Aprile utile a farci riflettere. Svendere la magia di un giorno speciale calza la stessa taglia della meschinità.