Il fiscal cliff è stato evitato, ma Obama rischia solo una vittoria di Pirro

Creato il 02 gennaio 2013 da Pfg1971

Dopo il Senato, anche la Camera dei Rappresentanti ha espresso il suo voto favorevole alla proposta di legge con cui il partito democratico e il partito repubblicano si sono accordati per aumentare le tasse ai contribuenti più abbienti, preservando dagli aumenti fiscali la classe media.

Un accordo raggiunto in extremis e che ha permesso agli Stati Uniti di evitare di precipitare in quello che i maggiori media statunitensi e internazionali avevano definito come fiscal cliff, il precipizio fiscale.

La legge, votata dai deputati con una maggioranza di 267 favorevoli contro 167 contrari, rappresenta indubbiamente un piccolo trionfo per il presidente Barack Obama che aveva impostato la sua intera campagna elettorale per la rielezione di novembre con l’obiettivo di ottenere un incremento delle aliquote per i più ricchi.

Più volte, nel corso dei suoi viaggi elettorali nell’America profonda, aveva ribadito che per superare la crisi economica e ridurre il deficit di bilancio statunitense era necessario intervenire attraverso un sostanziale incremento delle aliquote fiscali per la popolazione più affluente.

Non era possibile, sosteneva Obama che una segretaria di un imprenditore pagasse più tasse del suo principale, come aveva denunciato anche il miliardario Warren Buffet.

Il limite che aveva stabilito per gli aumenti era quello di coloro che guadagnavano oltre 250.000 dollari l’anno.

L’accordo votato ieri dalla Camera e l’ultimo giorno del 2012 dal Senato ha stabilito che nessun appartenente alla classe media avrebbe dovuto subire un incremento delle imposte, a seguito della scadenza decennale dei tagli fiscali generalizzati voluti da George W. Bush nel biennio 2002-2003, tuttavia, il limite oltre il quale l’aliquota massima è salita dal 35% al 39% ha riguardato solo quei contribuenti che hanno un reddito superiore ai 400.000 dollari.

Una soglia di aumento ben superiore ai 250.000 voluti da Obama, ma certamente ben più bassa del limite di 1.000.0000 di dollari che i repubblicani avevano proposto in alcune fasi iniziali del negoziato, condotto dallo speaker della Camera John Bohner.

Obama ha quindi dovuto accontentarsi di un compromesso al ribasso rispetto alle sue richieste, ma in cambio ha ottenuto un primo incremento delle imposte accettato dai repubblicani dai tempi di George Bush sr.

Molti esponenti conservatori hanno deciso di non rispettare l’impegno assunto pubblicamente con il guru anti tasse Grover Norquist di non aumentare mai le tasse.

Tra questi anche l’ex candidato alla vicepresidenza con Mitt Romney, l’astro nascente repubblicano Paul Ryan (lo stesso non può dirsi per alcuni probabili contendenti per la nomination del 2016, i senatori Marco Rubio e Rand Paul che al Senato hanno ribadito il loro no all’incremento delle imposte).

Il Gop si è piegato, abbandonando ogni preclusione ideologica, perché altrimenti, sarebbe apparso come il partito che, pur di salvare i più ricchi da un aumento delle aliquote, era disposto ad accettare un automatico aumento delle imposte per tutti gli americani, ricchi o poveri che fossero.

Tuttavia, l’affermazione di Obama, pur se indebolita dai compromessi con i repubblicani, rischia di essere una vittoria di Pirro.

Infatti, un accordo davvero omnicomprensivo avrebbe dovuto essere esteso anche ai minacciati e paralleli tagli alle spese del Pentagono e alle spese sociali del Medicare e della Social Security che invece sono stati rimandati di due mesi.

E questo perché? Perché a fine febbraio, la Casa Bianca dovrà trattare con i repubblicani l’innalzamento del limite di indebitamento del governo americano che, secondo il ministro del Tesoro Tim Geitner, sarebbe stato già superato a fine 2012.

In sostanza, negli Usa, l’emissione di debito pubblico per finanziare le spese statali non avviene automaticamente, come ad esempio in Italia, ma è sottoposto ad un previo assenso del Congresso.

Attualmente, e le elezioni di novembre lo hanno riconfermato, il Senato vede una maggioranza democratica e la Camera è invece dominata dai repubblicani.

Di conseguenza, ogni decisione di accordare al governo l’emissione di nuovi buoni del Tesoro per finanziare le spese del bilancio federale dovrà ottenere l’assenso anche della Camera dove gli esponenti del Gop aspetteranno al varco il presidente.

In cambio dell’innalzamento del tetto del debito, i conservatori chiederanno a Obama di accettare dolorosi tagli alla spesa pubblica, in particolare al welfare state e il presidente sarà costretto a confrontarsi non solo con simili richieste, ma anche con i prevedibili ostacoli ai tagli sollevati dei settori più liberal del suo partito.

Ne potrebbe derivare un indebolimento del potere contrattuale di Obama che avrebbe conseguenze anche su altri più rilevanti obiettivi da lui perseguiti nel secondo mandato: dalla riforma dell’immigrazione allo sviluppo della green economy.

Il capitale politico ottenuto dal presidente con la rielezione potrebbe logorarsi nelle trattative sul debito e i tagli mettendo in pericolo il raggiungimento di altri target più ampi come quelli ora ricordati.     

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