Il fisco ci segue in ogni azione quotidiana, un socio silente e costantemente presente che ci sottrae una quota di tutto ciò che produciamo; insomma una vera e propria ombra di noi stessi e, già che c’è, ci tassa anche quella. Proprio così, perché anche l’ombra qualora si proietti su un suolo pubblico genera una pretesa da parte del comune come tassa di occupazione e a rendersene conto sono stati in questi giorni i negozianti di Conegliano che si sono visti richiedere 8,4 euro per ogni metro quadrato di tenda posta all’esterno del loro esercizio commerciale.
Tassa Occupazione Spazi ed Aree Pubbliche, abbreviata in Tosap, questa la tassa regolamentata dal decreto legislativo 507 del 1993 e che stabilisce che ogni occupazione temporanea o permanente, sovrastante o sottostante un suolo pubblico è soggetta a una tassa definita dai singoli regolamenti comunali.
Uno specifico articolo del decreto (art. 44 comma c2) si occupa espressamente delle tende fisse o retrattili che creano ombra sul suolo pubblico, riducendo nel contempo la tariffa al 30 per cento.
Quindi fin qui nessuna novità, in molti comuni il pagamento avviene fin dal lontano 1993, in altri forse non è mai stata applicata; proprio come sembrerebbe per il Comune di Conegliano, che finché il servizio di riscossione è stato affidato alla Conegliano Servizi Spa – una partecipata al 100% del Comune, una delle tante che secondo la nostra Riforma dovrebbe chiudere – non veniva richiesta. Dal 2014 la riscossione è stata affidata alla Abaco Spa, che ha svolto una ricognizione del territorio comunale applicando alla lettera leggi e regolamenti.
Ed è così che Mathias Doimo, titolare di un negozio di alimentari con una tenda esterna di 4 metri quadri si troverà a pagare un balzello di 34 euro e Luciano Ottavian dovrà saldare la medesima cifra per una pedana per disabili di fronte al proprio studio di fisioterapista, un piccolo scivolo per favorire l’ingresso dei disabili e che apparentemente, in base alle planimetrie, dovrebbe trovarsi non sul suolo pubblico ma sulla proprietà dello stabile.
Il sindaco Floriano Zambon pur definendola una “gabella medievale” non ha potuto fare altro che arrendersi di fronte alle prescrizioni della legge nazionale, impegnandosi però a verificare possibili esenzioni.
Sin qui la cronaca che nella sua kafkiana assurdità ci permette di aggiungere una serie di considerazioni sulla vergognosa voracità degli amministratori pubblici che, sempre troppo occupati a reperire le risorse per poter spendere – uno dei vocaboli usati anche nei loro interventi sui social network –, perdono il lume della coscienza di come vengono riscosse le entrate. È infatti tipico, nell’introduzione di nuove tasse, che il legislatore valuti gli introiti potenziali e la loro congruità con le maggiori spese, ma tralasci il loro impatto e le conseguenze a cascata; molto spesso ne consegue che un intero settore venga soffocato e gli obiettivi di entrate non vengano raggiunti, come è avvenuto con la tassa di stazionamento su barche e imbarcazioni.
La varietà di tasse è direttamente proporzionale alla fantasia dei legislatori.
L’Italia è certamente uno dei Paesi con il maggior numero di tasse, tributi, balzi e balzelli; evidentemente avrà una relazione con il fatto di essere un Paese di artisti e poeti. La CGIA di Mestre ha censito un paio di anni fa ben 100 tasse, alcune di queste dovevano essere provvisorie come i balzelli per la guerra di Etiopia, la crisi del canale di Suez, il disastro del Vajont nelle accise sui carburanti, gabelle che paghiamo ancora. Solo per portare alcuni esempi in queste tasse troviamo: Diritti di magazzinaggio, Imposta sui consumi di carbone, Imposta sugli spiriti (almeno per il momento si riferisce solo agli spiriti derivanti dalla distillazione e non alle anime che si pensa popolino antiche vestige), Imposta sulla birra, Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili, Imposte su giochi di abilità e concorsi pronostici, Sovraimposta di confine sui sacchetti di plastica non biodegradabili; ma anche tasse sulle bonifiche delle paludi (da un Regio Decreto del 1904), tasse sulla raccolta funghi, sui passi carrai, sui dispositivi di memorizzazione (chiavette Usb e hard disk) e, perché no, anche una tassa per chi espone il tricolore.
L’occultamento e sminuzzamento delle imposte contribuisce a diluire la sensazione oppressiva.
Nel Paese di Machiavelli non potevano mancare gli stratagemmi per rendere più digeribile le gabelle, fra questi l’occultamento di un’imposta minore in altre imposte o in voci di consumo, come le addizionali comunali e regionali o l’Iva, o lo sminuzzamento delle imposte in vari tributi – come Imu, Tares, Tosap.
Non si tratta di un risultato incidentale dall’affastellarsi disordinato di tasse su tasse, ma di una strategia scientemente perseguita e che trova i suoi fondamenti nello studio di Amilcare Puviani, Teoria della illusione finanziaria risalente al 1903. Questo libro, illuminante nella sua disamina, pone in risalto come l’imposizione fiscale possa far leva e occultarsi nelle distorsioni cognitive, definite illusioni finanziarie dal Puviani, dovute all’inconsapevolezza dei contribuenti o alla loro ignoranza fiscale.
La convinzione che tassare una professione o una categoria non abbia ricadute sulla massa dei contribuenti.
È un fenomeno triste, in quanto agisce sull’egoismo di appartenenza; lo vediamo ad esempio quando si parla di tassazione sulle rendite finanziarie, che anziché colpire i grandi capitali, come si lascerebbe intendere, tendono a colpire la massa dei risparmiatori.
Nel caso della tenda del commerciante, si potrebbe pensare che non riguardi il cittadino comune ma il titolare dell’esercizio commerciale o di un’impresa. Ovviamente non è così in quanto il maggiore onere dell’operatore economico dovrà necessariamente ribaltarsi sul consumatore finale ed ove ciò non sarà possibile, per motivi di competitività, l’impresa cesserà la sua attività con danni per l’economia locale, disagi per quanti si servivano da questo esercente e minori introiti fiscali per l’ente pubblico impositore.