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Il fiume (riflessioni per tutte le stagioni)

Da Nubifragi82 @nubifragi

Di fiumi è pieno il mondo. Quello dei vivi e pure quello dei morti. Ci sono fiumi che attraversano l’inferno, altri che scendono dalle montagne come una lacrima e fendono la pianura come una colata d’argento. Ci sono fiumi la cui 20130713_184357acqua è in grado di cancellare i ricordi e fiumi capaci di purificare dai peccati. I cinesi sulla riva del fiume attendono il cadavere del loro nemico, i coloni inglesi in America vi costruirono la città più grande del mondo. Il fiume è vita e morte. I romani raccontavano che il fondatore della città eterna fu portato dalle correnti del Tevere, mentre Cesare, per fondare l’Impero, dovette attraversare un fiume di nome Rubicone. Quando poi lasciavano le spoglie terrene, romani o greci che fossero, i defunti dovevano attraversare un paio di fiumi per poter finalmente riposare in pace.

Sul rapporto che ha legato il fiume e l’umanità ci sarebbe un’infinità di cose da raccontare. Ma di questo troverete dissertazioni in ogni dove. A mio parere il fiume è anche una cosa personale, metaforica.

Ci sono momenti in cui il fiume scorre placido, l’acqua zampilla tra i sassi, le trote eseguono avvitamenti e carpiati nel loro tentativo di risalire la corrente e il sole dilata la sua immagine su tutta la superficie dell’acqua. Il vento asseconda il cammino del fiume e porta in dono l’odore acre dei pini di montagna e quello più delicato dei fiori di valle. L’acqua crea un dolce suono che si accorda con il fruscio ritmato delle foglie sfiorate dal vento, i gabbiani giungono da ogni parte e rendono omaggio ad un luogo ambito e ricco di opportunità. E tutto attorno e dentro a colui che si è spinto fin sulla riva è pace, quiete, gioia di vivere.

Altri momenti il fiume si innervosisce, la meccanica perfetta si rompe, l’acqua tronfia e maleducata schiaffeggia i sassi e le trote, in tutto quel baccano, non trovano più la via. Il sole si spegne dietro ad un cumulo di nembi e il vento dimentica il profumo in qualche stretta gola montana. E questo lo fa innervosire e gli alberi travolti dalla sua ira funesta gridano di terrore, le foglie stridono, il fiume urla senza centrare una nota. I gabbiani volano in cerchio, osservano e quindi si dirigono verso lidi più prosperi. Dentro cresce la rabbia, la felicità cede il passo alla frustrazione, l’eccesso è la parola d’ordine. Niente è più come prima.

Poi ci sono quei momenti in cui il sole viene stancamente a patti con le nuvole e uno statico pallone di un giallo sbiadito si piazza dietro una fine coltre di vapore acqueo. Il fiume è magro da far spavento e quel poco che c’è scorre depresso tra sassi ricoperti da alghe macilenti. Le trote non trovano più un qualsivoglia di stimolo per risalire la corrente e sonnecchiano a valle, mentre il vento si è fermato a riflettere in qualche recesso montano o forse non è nemmeno partito e se ne sta lassù, sulla cima del monte, troppo appesantito dai suoi pensieri per precipitarsi giù per i pendii ricoperti di conifere. Gli alberi imitano le pietre, i gabbiani non si scorgono nemmeno in lontananza, l’odore è quello putrido di un fiume che muore.

Ma forse qualcosa si muove. Anche quando il fiume è in secca. Forse è un rigagnolo sotterraneo, o meglio, nascosto sotto le rocce secche e ricoperte di moscerini. Forse è un girino che scodinzola in una pozzanghera risparmiata dalla temperie dei tempi. Forse è un gabbiano che ricordando gli antichi fasti si aggira nuovamente per quelle lande desolate. Forse è una brezza di vento che tenta di impostare una melodia con una piantina di pomodori cresciuta chissà come e chissà perché in quell’arida distesa di sassi.

Di tutto quello che dissero greci, sanscriti, romani, cinesi e quanti altri sul fiume una cosa è comune: il fiume scorre sempre. Anche quando sembra non offrire più nulla.
Pantha rei. Tutto scorre.
Così dicono.



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