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Il flauto magico di Kenneth Branagh

Creato il 06 maggio 2012 da Spaceoddity
Il flauto magico (2006, tit. or. The Magic Flute) è una riduzione cinematografica del capolavoro omonimo di Wolfgang Amadeus Mozart. La regia di Kenneth Branagh ne fa, a modo suo, un insolito blockbuster, nei limiti di quella che può essere la fruizione dell'opera al cinema. Perché bisogna intanto dir questo: l'opera di Mozart c'è tutta, con tagli accettabili (forse qualcuno di troppo nel secondo atto, ma non sorprende) e trasposizione discutibile, ma coerente. Vale a dire che un cinefilo, ahilui, ignaro delle gioia di questo gioiello si può fare un'idea molto precisa di quel che accade e, con un po' di intelligenza, può raccontare Il flauto magico come se uscisse or ora da teatro.
Il flauto magico di Kenneth BranaghQuesto accade perché la sceneggiatura di Kenneth Branagh - che ambienta le vicende del libretto originale di Emanuel Schickaneder durante il primo conflitto mondiale - è anche e soprattutto una semplificazione. Che nel Singspiel di Mozart ci sia la lotta tra il bene e il male, tra la furia e la pace, tra una gioia composta e ascetica e una livorosa sete di vendetta è un dato di fatto che anche i bambini colgono subito. Solo che una traduzione unilaterale, calligrafica e punto-punto - mi si perdoni l'omoteleuto - in senso di luce e pace è appunto quanto farebbe un bambino o un ascoltatore ingenuo.
Per parte sua, è per lo meno onesto dire che Kenneth Branagh non doveva scrivere un saggio accademico su Die Zauberflöte ed è giusto che all'artista si conferisca la massima libertà, soprattutto quando questi pensa a portare l'opera (e quest'opera in particolare) nell'immaginario di un pubblico sempre più vasto e diversificato. Accolgo, dunque, con la gioia di un bimbo - magari quella di un bimbo in grado di riconoscere il mondo durante la Grande Guerra - un'occasione a dir poco deliziosa per riimmergersi nei tellurici abissi del mondo mozartiano.
Anche a valutare l'aspetto più propriamente esecutivo, c'è ben poco di cui lamentarsi (se si esclude il senso di estraneità che porta l'inglese nell'opera, che consente di rileggere in prospettiva il meraviglioso The Rake's Progress di Stravinsky). Sebbene nessuno di loro brilli (tranne forse il Sarastro di René Pape), i cantanti/attori difendono molto bene il loro ruolo e senz'altro non fanno rimpiangere edizioni più convenzionali. Vale perciò la pena di ricordarli tutti, nella speranza di poter godere, insieme a chi magari non frequenta l'opera, di altre occasioni paragonabili: Tamino è Joseph Kaiser, Pamina Amy Carson, la Regina della Notte Lyubov Petrova, Papageno Benjamin Jay Davis, Papagena Silvia Moi, Monostatos Tom Randle, Primo Sacerdote Tom Uttley. Ma un plauso va anche alle tre dame e soprattutto ai tre deliziosi bambini.

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