Il folle elogio della solitudine

Creato il 30 aprile 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

Che la solitudine, allorquando è condizione temporanea e volontaria, possa talvolta essere utile è plausibile, ma che sia perfino bella è un’assurdità. Eppure era scritto proprio questo sull’inserto domenicale del Corriere della Sera: «La solitudine è una cosa meravigliosa». Titolo surreale per un’intervista altrettanto surreale al sociologo Erik Klinenberg, a detta del quale «laddove c’è, o comincia ad esserci, benessere, welfare e le donne sono libere, le persone vivono da sole» (La Lettura, 28/4/2013, p. 5). E’ surreale perché all’aumento del numero dei non sposati segue – dicono i numeri – quello del consumo di antidepressivi mentre cala, com’è noto, il numero dei figli nati, anche se crescono quelli concepiti fuori dal matrimonio: e cosa ci sia di bello in tutto questo, è davvero un mistero.

Perché l’habitat ideale per l’uomo, piaccia o meno, rimane uno ed uno soltanto: quello del matrimonio. Questo vale sia per gli uomini, che se sposati risultano più socievoli, sani ed equilibrati dei single (Cfr. Archives of general psychiatry, 2010;67(12):1309-15), sia per i figli, che quando sono cresciuti da un solo genitore corrono più rischi di malattie psichiatriche, suicidio o tentativo di suicidio, lesioni e dipendenze (Cfr. The Lancet, 2003; 361; 9354: 289 – 29). La solitudine è anche una delle ragioni che spinge molte donne che si scoprono madri a considerare la drammatica scorciatoia dell’aborto procurato, qualcosa che ben poco ha di allegro e che determina pesanti conseguenze per la loro salute, anche in termini di maggiori tassi di mortalità (Cfr. Medical Science Monitor, 2012; 18(9): PH 71 – 76).

Senza dimenticare che l’aumento dei non sposati e la conseguente denatalità determinano pure un aggravarsi dell’economia di un Paese che, con un numero ridotto o stabile di contribuenti, deve provvedere al mantenimento di un numero crescente di anziani e pensionati.  Si tratta di ragionamento elementare, ma che alla redazione del Corriere – e pure a qualche sociologo – sembra sfuggire. La solitudine, lo ripetiamo, può rappresentare un’occasione di riflessione e di raccoglimento anche spirituale; ma non è né potrà mai diventare la condizione ideale. La riprova è che per mascherarla, per far finta che sia qualcosa di meno grave di quel che invece è, da tempo ricorriamo in massa a definirci single, coperchio verbale per un vuoto relazione. Sai che soddisfazione, vantarsi di essere single per non ammettere di essere soli. Ma anche questo, a certi sapientoni, non sembra chiaro. Sarà che loro stessi, oggi, sono single. Chissà.



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