Donne musulmane indossanti l’hijab
Quando si parla di radicalismo islamico, se non di islam tout court, la mente corre a dei barbuti col turbante, accecati dall’odio per l’Occidente, pronti a sgozzare e decapitare. O almeno questa l’immagine di comodo che i media danno in pasto ad un pubblico sempre meno propenso all’analisi ed alla riflessione. In realtà le cose sono molto più complesse, l’islam è fortemente legato al contesto in cui si sviluppa, un dato storico, così come gli islamisti hanno una propria formazione culturale, delle esperienze personali, geograficamente delimitate, che rendono la semplificazione il miglior mezzo per non capire assolutamente nulla. Barbuti non erano gli attentatori dell’11 settembre 2001 e barbute non sono le donne sempre più presenti tra le file dei jihadisti.
La creazione di un nemico monolitico, compatto e minaccioso è qualcosa di molto utile al giorno d’oggi. Ricreare un clima da guerra fredda servirebbe a ricompattare gli schieramenti in campo, favorendo l’eliminazione del dissenso in nome di un interesse comune. Quando i telegiornali danno notizie palesemente errate, oppure ambigue, si sta creando non un nemico, ma la sua immagine. Eppure il fronte fondamentalista non è così univoco come si vuol far credere, anzi forse l’aspetto più interessante è proprio la sua diversificazione, i suoi contrasti interni dovuti proprio alla sua crescita. Oggi il radicalismo islamico ha attecchito anche nelle città occidentali, attraendo giovani dalle esperienze di vita molto diverse rispetto ai mujaeddin reduci dalle guerre afghane.
L’uso ormai quasi disinvolto degli stumenti mediatici è di per sè un segnale importante, ma ben presto il fondamentalismo dovrà fare i conti con una sua questione femminile. Sono infatti sempre di più le donne attratte dai movimenti radicali. Se per le più anziane ci può essere (non sempre) la spiegazione nel retaggio culturale che le obbliga a seguire il marito, lo stesso non vale per le giovani, ormai militanti attive in diverse parti del mondo. La pretesa occidentale di vedere le donne musulmane come vittime da salvare non può che peggiorare le cose, se ieri le universitarie islamiche francesi rivendicavano il loro diritto a portare il velo, oggi le ragazze mediorentali sono pronte a farsi esplodere in attentati suicidi. La radicalizzazione dello scontro potrebbe presto assotigliare le differenze culturali.
Sebbene l’islam si ponga come un’ideologia “sovranazionale” il suo successo è profondamente legato alle condizioni locali. Molto interessante per lo studio degli sviluppi del radicalismo islamico è un vecchio libro dalle previsioni non avveratesi, Nel cuore dell’islam, di Ahmed Rashid, forse il giornalista più tradotto in Italia quando si parla di fondamentaismo islamico. Una forte spinta alla radicalizzazione dei movimenti islamici viene dalla repressione dei regimi centroasiatici che, ad eccezione del Tagikistan, non aprirono nessuno spiraglio alla rappresentanza islamica dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Un islam vissuto quindi come sostituto di un’appartenenza nazionale che non venne a crearsi, proprio quando nel mondo gli esclusi sono sempre di più, donne comprese.
Il radicalismo islamico centroasiatico diede al fondamentalismo talebano una dimensione di più ampio respiro, facendone un fenomeno non più legato alla realtà afghana, ricevendone in cambio sostegno e protezione. Oggi le cose non sono cambiate, le autocrazie centoasiatiche continuano a lanciare proclami contro il pericolo islamico, mentre proprio pochi giorni fa le autorità kirghise hanno dichiarato che gli arresti di donne militanti nei movimenti islamici è in drammatica ascesa. Interessante notare che il Kirghizistan ha tra le sue antiche usanze il “rapimento della sposa” a fini matrimoniali, nonchè una situazione di perduranti tensioni etniche con i vicini uzbeki e tagiki.
L’errore degli stati centroasiatici, ossia unire nella voce fondamentalismo gruppi moderati e gruppi estremisti, potrebbe essere l’errore anche per i paesi occidentali, troppo attratti dal bisogno di creare un nemico che distolga dalla profonda crisi in corso. L’esistenza del califfato islamico proclamato in Iraq diventa quindi qualcosa di assolutamente necessaria. Invece di far leva sui problemi interni al fronte radicale islamico, come la provenienza dei fondi (spesso da attività che il corano non ammette), l’ortodossia del loro credo (secondo molti credenti musulmani il fondamentalismo è una deviazione aberrante) oppure il loro doversi confrontare con fenomeni quali la globalizzazione (a meno di rinchiudersi tra le valli afghane). In tutto ciò il libro di Rashid diventa una piacevole ed utile introduzione al radicalismo centroasiatico, offrendo spunti di più larga portata.
Fonte immagine: http://www.theblaze.com