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Il fotoritocco nell’era pre-Photoshop

Creato il 12 novembre 2013 da Scribacchina

Ormai lo sanno anche i muri che mi sono letta Il fotografo di Auschwitz.
Fermi lì, non abbiate paura: non vi costringerò a leggere riassunti, commenti o critiche miste del libro; volevo solo riagganciarmi a quella lettura per mostrarvi una cosuccia che mi è capitata tra le mani.

Vi siete mai chiesti se nell’era pre-Photoshop esisteva il fotoritocco o qualcosa di simile?
Se non lo sapevate, vi confermo che il fotoritocco esisteva, ed era una vera e propria arte: l’ho scoperto proprio leggendo Il fotografo di Auschwitz. Nel libro, il protagonista ingentiliva i tratti dei prigionieri e degli aguzzini ritoccando le foto con apposite matite; gli capitava anche di colorare le immagini usando matite colorate oppure pennello e colori all’anilina: così, ogni foto diventava una sorta di pezzo unico. E non esisteva il comando CMD-Z per tornare indietro, come sul Mac: se si commetteva un errore, bisognava cercare di rimediare alla meno peggio, coprendolo in quale modo.

Oggi è arrivata in redazione la fotografia di un signore che ormai non c’è più.
E’ una foto degli anni ’40-’50, quelle che si andavano a fare dal fotografo: la «foto bella», da regalare alla fidanzata o da spedire ai genitori.
Mi sento molto fortunata quando riesco a mettere le mani addosso a questi piccoli tesori. Mi piace immaginare il viso delle persone ritratte nelle foto mentre osservano nella sfera di cristallo una sconosciuta Scribacchina che - in un futuro lontano - si coccola la loro immagine. Si chiedono chi caspita sia quella fanciulla; si chiedono se in futuro tutte le donne si vestiranno e si pettineranno come lei; si chiedono perché sta guardando con tutto quell’interesse la loro foto; si chiedono se in quel giorno di un futuro lontano loro saranno già morti, e la fanciulla sta semplicemente osservando la foto di qualcuno che non c’è più.
Mentre immagino questa scena, cercando di capire qualcosa del protagonista della foto, come per incanto si materializza dietro le spalle uno dei miei collaboratori più in là con gli anni. Vede la foto, esclama: «Ossignùr! Scribacchina, lo sai chi è questo?»; i suoi occhi si riempiono di qualcosa che mi sembra tenerezza, o forse nostalgia.
Mi racconta la storia del protagonista della foto.
Scopro che questo signore, oltre ad avere un nome e un cognome, era un caro amico del collaboratore. Morì poco dopo aver posato per questa foto.
Non aveva nemmeno trent’anni.

La foto è un bianco/nero e mostra dei vistosi ritocchi, fatti anche con matite colorate; osservandola bene, ho capito che il fotografo non se la cavava quel gran che con le matite…
Eppure è proprio la grossolanità del tratto che mi ha reso più semplice individuare questi ritocchi e capire come funzionava la lavorazione delle fotografie quasi un secolo fa.
Senza mostrarvi la foto intera, vi faccio vedere qualche particolare del fotoritocco.
Mi piace pensare che questa foto conservi in sé una piccola eredità, anche sotto forma di antiche tecniche di photoshopping, e che grazie a internet possa essere trasmessa.

cravatta fotoritocco

labbra fotoritocco

occhio ritocco

(da notare i tratti di matita rossa sul nodo della cravatta e sul labbro inferiore; inoltre, nella terza foto, la linea superiore del sopracciglio, ritoccata con una matita grigia appuntita, e l’ombreggiatura nella rima inferiore dell’occhio: anche questa è opera del ritoccatore, ed è ancora più vistosa se paragonata con quella molto delicata eseguita sull’altro occhio).


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