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Il freddo dentro

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Sabato 25 febbraio 2012

CAMMINARSI DENTRO (356): Il freddo dentro


Stupisce non tanto che il soggetto sia felice
senza saperlo, ma che si faccia un’idea
di beatitudine da cui si senta escluso.
JACQUES LACAN 

La nostra cecità è forse incapacità di accettare che un altro sia incapace di amare? che sia segnato da aridità del cuore?
Trascorriamo lunghissimi periodi della nostra vita avendo sotto gli occhi un comportamento ripetuto che ha un chiaro significato per il cuore – se una persona non risponde alle nostre lettere, ci affanniamo a giustificare il suo comportamento senza mai accettare il rifiuto come rifiuto -, ma mettiamo a tacere il cuore, impedendogli di comunicare alla mente le sue ‘conclusioni’, che magari si tratta di un comportamento non occasionale, non un mero vezzo, qualcosa che si possa facilmente perdonare: le mancate risposte del cuore per anni, per decenni, sono la riprova di una mancanza di sensibilità, di una durezza di cuore che non comprendiamo.
Siccome il nostro cuore è stato educato, quando eravamo ancora bambini, al rispetto, abbiamo con il tempo imparato a dare un nome a tutte le cose e a sentire, a rispondere paradossalmente con un sentimento al discreto della realtà. Abbiamo istituito sempre file di continuità, anche là dove prevaleva il discreto.
E’ discreto il contrario di ‘continuo’. La durezza di cuore è la cattiveria dispiegata, l’aridità del sentire, il silenzio degli affetti, il mancato riconoscimento del valore delle cose del cuore che non si riduce a un solo momento!
Il lavoro più difficile da svolgere è avventurarsi nell’esistenza deprivata e nel non-luogo di un’anima che non conosce le parole dell’amore.

La nostra più grande cecità consiste nel non aver voluto credere, tutte le volte che abbiamo sentito le parole “Io non so amare”, a quel non-luogo di un’anima. Magari dall’altra parte sarà stato mobilitato il dispositivo – la macchina – delle risposte comportamentali al nostro vivo sentire, ma non sapremo mai se quel cuore era un vero cuore, se provava veri sentimenti, se assegnava valore alle nostre cose o se non si limitava, piuttosto, a rispondere ai fatti con comportamenti simili ai nostri, agli eventi quotidiani con performance adeguate, senza nessun moto interiore.

E’ di due giorni fa l’esperienza di un colloquio con la moglie di un tossicomane attualmente impegnato in un programma residenziale. Invitata a raccontare la storia di una relazione conclusasi con la separazione, Enrica ha riferito i comportamenti tenuti da sua madre e dalla madre di Enzo. Mentre sua madre aveva accolto Enzo come un figlio e suo padre aveva dato tutto il suo denaro ai due, perché avviassero l’attività economica progettata, la madre di Enzo si era rivelata fredda e austera, impaziente e intollerante: non voleva i suoi nipotini in casa! Ne sopportava solo uno alla volta… Enrica non ha esitato a definire la suocera, da lei sempre rispettata, come persona priva di sensibilità e di capacità di amare.
Ho subito ammirato in lei la capacità di visione, il coraggio di far parlare il cuore, che raramente si inganna: le sue parole corrispondono all’esperienza fatta di contatto con la madre di Enzo.
Del seguito del colloquio non dirò nulla, come dell’uso da fare delle informazioni preziose ricevute.
La riflessione corre solo a quel cuore, a quel non-luogo dell’anima, al volto senz’anima di una madre che non ha fatto posto in sé per i membri della famiglia che pure ha voluto.
Non mi preme dire altro qui. La scienza difficile con cui mi sto scontrando da qualche anno è proprio quella del silenzio del cuore. Tra le cose misteriose è questa sicuramente la più ardua da comprendere e da accettare. Più di ogni altra cosa, è urgente decidere cosa fare, considerato che ‘affiora’ sempre più un fenomeno che si estende – o che solo ora riusciamo a vedere – rappresentato dalle persone che non riescono a rispondere con il cuore alle sollecitazioni del cuore.
Riconoscere queste persone per potersi difendere dal freddo che si portano dentro. E poi?


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