Anna Lombroso per il Simplicissimus
Devo dare un dolore all’Anpi, ai tanti che credono che l’antifascismo sia una componente irrinunciabile della solidità e della compiutezza della democrazia. Se la sinistra è in letargo, ibernata e forse morta, anche in virtù di questo, la destra fascista è invece ben viva e poggia sempre sugli stessi capisaldi, conservazione, reazione, autoritarismo, razzismo, arroganza, primato delle gerarchie funzionali al consolidamento delle disuguaglianze, individualismo, indifferenza per la legalità, che si vorrebbe temperata da requisiti arbitrari, personalistici, discrezionali.
A mettere una pietra sopra sulla resistenza, anzi una lapide commemorativa, di quelle che servono a togliere ossigeno alla memoria e forza pedagogica alla storia, è stato soprattutto il fuoco amico.
È successo qualcosa di tremendo grazie a innominabili correità se hanno vinto il revisionismo, una lettura distorcente del passato, la manipolazione dei fatti e dei ricordi, il negazionismo. Se ha avuto il sopravvento quell’indole alla pacificazione, che diventa omologazione così che tutti sono uguali, vincitori e vinti, carnefici e vittime, come una aberrante livella che spiana come la terra dei cimiteri, colpe e responsabilità, offese e stragi, aguzzini e innocenti. Così che tutti sono assolti, come a dire che forse al loro posto nemmeno noi ci saremmo sottratti alla tentazione della sopraffazione o a quella del crimine. Cronaca e storia vengono impiegate a sostegno di questa bella colata di cemento sul passato che investe anche il presente, con una sorpresa e sorprendente indulgenza nei confronti di vecchi e nuovi reati, di vecchie e nuove infamie, di vecchie e nuove disuguaglianze.
Così di fronte alle miserabili prestazioni della giunta del Lazio in maschera, brillanti opinionisti, primo tra tutti l’arguto Ceccarelli di Repubblica, insinuano che si sia di fronte a una degenerazione del pensiero della destra, a una dimissione dai principi di patria e onore, a una tardiva consegna a sistemi di corruzione e slealtà nei confronti del popolo, a un declino dei quei valori che sarebbero invece patrimonio tradizionale della destra di governo. Dando per scontato – e questo è l’aspetto più inquietante – che i fascisti, che di questo regime sono e sono stati parte integrante, non abbiano leso con il loro vulnus riconoscibile la democrazia, ma ne siano stati contagiati, assumendone i comportamenti da tardo impero, la volgarità, l’infamia, le perversioni, loro che erano invece solidi, duri e puri, virili, inossidabili, patrioti, leali.
Eh si il fuoco amico spara cartucce avvelenale e mistificatrici, dimenticando che una delle colonne portanti del regime fascista consisteva proprio nella corruzione, nei patti opachi con l’industria e le banche più spregiudicate, nelle commistioni con la criminalità e la malavita impiegate come attiva manodopera nella repressione. Persuasi che ci abbia precipitati nella tragedia della guerra, ma che in fondo sotto la camicia nera battesse un cuore onesto, popolare, che i treni arrivassero in orario come cartoline dal fronte.. e facendo cadere così l’oblio su scandali a cominciare da quello indirettamente responsabile dell’assassinio di Matteotti, sul clientelismo e il familismo, sulle carriere di indegni manovali del regime e di crudeli aguzzini, sui fiumi di quattrini sottratti allo Stato e ai cittadini per alimentare il consenso, i conti privati della classe dirigente e della monarchia, i vizi privati e quelli pubblici.
Nel segno della continuità dunque i furfanti avvicendano doppiopetto e toghe, con buona pace dei loro agiografi, entusiasti di dare conto di imprese che fanno cassetta, che la becera spontaneità premia e lo scoprire che tutti fanno ugualmente schifo appaga un ceto mediocre.
E come è piaciuto ai nostri predicatori dallo schermo Tv promuovere e rendere presentabile la ruspante Polverini, sindacalista di destra dura e pura, capace di collocarsi sia pure con qualche acrobazia dalla parte giusta, i futuristi immaginifici e perfino le onlus di Casa Pound, in un bel bagno di sensazionalismo nazionalpopolare animato da figurine un po’ plebee, un po’ maleducate, ma fresche e nuove rispetto alle vecchie sagome del susseguirsi di repubbliche. Volutamente ciechi sull’ombra lunga che il Ventennio continua a gettare sull’Italia contemporanea, primo Paese europeo a dare legalità e rappresentanza a un consistente partito neofascista e i cui eredi hanno sostenuto il regime di Berlusconi e sono presenti in Parlamento, nelle regioni, nelle città.
Bisogna guardarsi da certe prediche: è bene ricordare a Serra che i Fiorito si trovano a pesare seppie al mercato e dietro il banco del bar, ma si trovano anche davanti al pc di tante redazioni. Che l’idealtipo italiano vanta una solida permeabilità alla corruzione, al clientelismo, al familismo non solo nei ceti popolari. Anzi a volte è proprio la contiguità coi piani alti, l’ambizione di essere ammessi alla tavola dei potenti a produrre più mele marce, che tanto per fare un esempio calzante viviamo un tempo nel quale la stampa ha dismesso ogni responsabilità e volontà di informare preferendo persuadere delle misure di un governo che interpreta e rappresenta solo gli interessi di chi già ha e vuole conservare beni, potere, privilegi.
E rammentare a questi illustri opinionisti così schizzinosi, che guardano passare le nostre vite dal davanzale insieme a quelle delle povere giraffe, più ribelli di noi, quelli che vorrebbero l’idoneità per votare, che se la democrazia è annichilita si deve anche a loro, che non fanno parte di una èlite incaricata di educare il popolo, ma dovrebbero semplicemente fare il loro lavoro con la responsabilità che esige l’essere cittadini.