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Il fuoco di paglia europeo.

Creato il 11 dicembre 2011 da Basil7

di Beniamino Franceschini

Il fuoco di paglia europeo.

L'immagine della discordia: Sarkozy evita Cameron, il quale si limita a un imbarazzato tocco al gomito del presidente francese. | © AP / dailymail.co.uk

L’Europa a 26?
Chi sono i reali vincitori del vertice appena conclusosi?
Forse non l’Unione.

Senz’altro Sarkozy, che prosegue l’obiettivo storico della Francia, con Parigi ago della bilancia europea e Londra ai margini. Il Presidente francese non ha stretto la mano al Primo Ministro britannico: «L’accordo non ha raggiunto l’unanimità grazie ai nostri amici inglesi». Un po’ come dire: «Bene, se ne stiano splendidamente isolati».

Certamente Draghi, la vera mente del documento prodotto dal summit, il suggeritore delle misure economiche e di contenimento dei bilanci pubblici discusse. Il governatore della Bce è arrivato al vertice dopo aver tagliato il tasso di riferimento di un punto e confermato l’estensione del fondo salva-Stati. La sua abilità, tuttavia, è stata nell’evitare le richieste dei singoli Paesi riguardo all’acquisto dei titoli nazionali, chiarendo definitivamente il ruolo della Bce.

Sicuramente, non Angela Merkel: se, infatti, da un lato il Primo Ministro tedesco è riuscito a ottenere il riconoscimento della disciplina di bilancio della Germania quale modello per l’Europa, dall’altro lato la Cancelliera non è stata in grado di prevenire il rifiuto britannico, ossia, in poche parole, ha perso il bilanciamento all’invadenza francese. In assenza del contropotere di Londra a Parigi, per Berlino si prospetta qualche grattacapo: da Sarkozy potrebbero adesso arrivare sia eccessive istanze di protezionismo e dirigismo contrarie agli interessi tedeschi e inglesi, sia una tendenza a limitare la proiezione esterna dell’area euro, attuando la propensione francese a un’unione monetaria rivolta verso il centro (con evidente conflitto d’interessi con la Germania diretta a est) e dominata da un asse franco-tedesco, con gli altri attori come contorno.

L’intesa intergovernativa sarà sottoscritta da ventitré Stati, ossia i diciassette della zona euro, con l’aggiunta di Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania e l’esclusione di Gran Bretagna, Repubblica Ceca (priva del mandato parlamentare a negoziare), Svezia e Ungheria. Secondo una nota ufficiale esso prevedrà «da una parte un nuovo accordo fiscale e un coordinamento rafforzato delle politiche economiche, dall’altra lo sviluppo degli strumenti di stabilizzazione per affrontare le sfide nel breve termine». In sostanza, i Paesi aderenti dovranno introdurre nella propria Costituzione una norma sul pareggio di bilancio, delegando alla Corte di Giustizia europea i poteri di controllo e verifica. Contestualmente, pertanto, gli Stati che, stante un deficit strutturale massimo dello 0,5% del Pil, supereranno la soglia del 3% del rapporto deficit-Pil andranno incontro a sanzioni certe. I Paesi aderenti all’accordo si impegneranno a ridurre il debito al di sotto del 60% del Pil, programmando una riduzione annuale del debito lordo di 1/20 della differenza tra la percentuale attuale del debito e la soglia del 60%. In poche parole, quanto era auspicato dai politici e dagli economisti conservatori negli Stati Uniti.
Dal luglio 2012, in anticipo sul previsto, sarà avviato il Fondo permanente salva-Stati (500 miliardi), la cui gestione spetterà alla Bce solo dopo che i governi della zona euro avranno approvato con maggioranza fissata all’85% l’intervento specifico.
Fumata nera, invece, per gli eurobond: nonostante l’apertura moderata del presidente del Consiglio europeo Van Rompuy («continuano i lavori sull’integrazione di bilancio e sulla mutualizzazione del debito»), la cancelliera Merkel è riuscita a ottenere il rinvio della discussione.

Il fuoco di paglia europeo.

©Sky News - BSkyB / dailymail.co.uk

Che cos’è che ha spinto, quindi, David Cameron a sostenere che «quanto era stato proposto non era semplicemente abbastanza vantaggioso per la Gran Bretagna»?  Il Primo ministro del Regno Unito ha ripreso le posizioni storiche dei conservatori (già Margaret Thatcher ruppe con l’Europa), dichiarandosi totalmente indisponibile a negoziare la sovranità britannica. Cameron, inoltre, ha difeso apertamente gli interessi della City londinese, rompendo con la maggioranza dei Paesi europei sull’imposizione di regole più stringenti in materia di transazioni finanziarie, soprattutto con riferimento alla discussione di una tassa ad hoc, cui ha fatto seguito il rifiuto delle controparti di studiare clausole di opt-out. In realtà, il Premier britannico ha espresso la propria posizione con lo sguardo rivolto verso la politica interna, tentando, cioè, di tranquillizzare l’ala intransigente del Partito conservatore, sempre più critico nei confronti dell’alleanza con i liberali europeisti di Clegg. Da parte sua, il vice di Cameron, non si è soffermato eccessivamente sugli esiti del vertice, limitandosi a definire le richieste del governo come «modeste e ragionevoli».
Il Premier, puntando soprattutto sugli effetti nei confini nazionali, ha ottenuto il vantaggio di evitare un eventuale referendum sulle misure europee, riportandosi decisamente alla guida del Partito e ritrovando i margini per la gestione degli affari britannici senza dover negoziare con i Tories più duri.

La scelta di Londra non deve stupire: il Regno Unito è da sempre restìo ad acconsentire a misure che anche solo possano generare nei propri cittadini la percezione della limitazione di sovranità. Probabilmente anche i laburisti avrebbero seguito un atteggiamento simile, magari non citando direttamente gli interessi finanziari della City, ma comunque chiedendo clausole alternative che rimarcassero la posizione britannica. Cameron, facendosi forte dei numerosi precedenti, non crede che la scelta di abbandonare il summit possa portare a rotture definitive con l’Europa. Naturalmente, al di là delle conseguenze per l’Unione, resta da capire quale immagine del Regno Unito i governi dell’eurozona lasceranno filtrare: il dubbio è che attraverso l’esaltazione dell’autoesclusione egoistica della Gran Bretagna si devii l’attenzione da provvedimenti potenzialmente recessivi dettati dalle diverse, ma altrettanto egoistiche volontà franco-tedesche.

(Il contenuto del testo può essere liberamente utilizzato per fini non commerciali, purché se indichino provenienza e autore).



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