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Il Fuoco sacro. Introduzione (v)

Creato il 15 settembre 2010 da Lucas
Un indiano incontra Socrate ad Atene e gli domanda di definire la sua filosofia. «È uno studio delle realtà umane», risponde Socrate. Al che, l'indiano scoppia a ridere: «Come può un uomo studiare le realtà umane quando ignora le realtà divine!». L'aneddoto è raccontato, o inventato, dal vescovo Eusebio (265-340 d.C.). Il riso, dopo Socrate, ha cambiato dimora. È questo passare attraverso gli dèi per abbordare gli uomini come hanno fatto gli indù, Erodoto e qualche strutturalista, che fa sorridere oggi. Tutto ci dissuade dal farlo. Prima di tutto la rispettabilità “scientifica”. Chi ci soffia nelle orecchie questa buona condotta, e ci persuade dell'inutilità e della natura grottesca di questo détour [ovvero, ripartire dal sacro per capire l'uomo]? Ricordiamo il luogo comune ormai invalso: «La religione produce misconoscenza, come l'ideologia e la falsa coscienza. Essa è un rapporto immaginario delle nostre condizioni di esistenza. Ciascuno deve strappare il velo delle antiche ignoranze, dei ricami fantasiosi del sacro, superare con un colpo d'ala i golfi ombrosi occupati dall'emotività, dalla confusione del vissuto, del pressappoco, dei fantasmi, per dar libero corso alle forze di emancipazione. Piantiamola con questi affari da femminucce, da stolti o da illuminati. Infantilismi. Debolezze dello spirito. Noi siamo degli adulti responsabili. Lasciamo queste arretratezze della ragione agli etnologi, agli psichiatri». Seguirà anche nelle masse questo progressismo simpatico, questa cordialità del diciannovesimo secolo sempre cara ai nostri cuori. Altro alibi, altro passo falso. L'idea di un cammino più o meno in linea retta ma inesorabilmente conducente dalle tenebre alla luce e dalla credenza all'incredulità è in noi innata, dal momento che la scienza conquistatrice si fa spazio sempre meglio nelle tenebre, e che le sale operatorie scacciano le novelle della nonna. Questa grande promessa sostiene ancora l'avanzata de Il Ramo d'oro (1890), quando Voltaire passa il testimone a Frazer, l'antropologo inglese. All'inizio era la magia, quando l'uomo cercava di manipolare le potenze occulte, anonime e immanenti; poi venne la religione, quando l'uomo volle conciliarsi con le divinità personali, pubblicamente riconosciute e trascendenti; e infine, la scienza, liberata dal dubbio, che sostituisce un potere effettivo sulle cose ai simulacri dell'impotenza. Questo tranquillo evoluzionismo non sottintende ancora la profezia dei nuovi tempi dei nostri migliori sociologi? «È davvero finito il tempo dei preti, dei nobili e dei re, quando la società si fondava su dei dogmi trascendenti: finito, una volta per tutte. Adesso noi viviamo in democrazia, in libertà di coscienza e la sovranità appartiene al popolo. La modernità è riuscita, grazie soprattutto al cristianesimo, a sfuggire alla morsa delle religioni. L'eteronomia è relegata al passato. Una lacrima scende, un po' nostalgia ci prende, ma uno spirito positivo deve vivere nel nostro tempo. Lo storico delle religioni, laudator temporis acti, lavora con la sua memoria sul già rivelato. Noi, contemporanei del disincanto del mondo annunciato da Max Weber, lavoriamo su delle cose serie, sulle delle statistiche». E ognuno cerca di rassicurarsi respingendo ai margini le cose aberranti del religioso. L'apologetica di un'era che si sogna matter of fact relega l'Homo religiosus sia nella periferia di chiuse accademie (la storia e l'antropologia delle religioni), sia nel sottosuolo, l'antica notte medievale prima della morte di Dio. Questa censura pretenziosa e suicida, malgrado i conforts con i quali prende cura del nostro amor proprio, dev'essere tolta se si vuole sostenere lo choc del futuro. Al pari di un XXI secolo conteso tra superstizioni e tecnoscienze le notizie di attualità sul prossimo assassinio dovuto a cause mistiche. Piacque al Cielo che le scienze religiose fossero considerate retrograde e folcloristiche. Tutto porta a credere che esse scoprano ciò che le società contemporanee, che si credono ingenuamente protette dall'individualismo democratico, hanno di più resistente di meno dicibile.«Siamo tutti delle menzogne che dicono la verità». La confessione che Jean Cocteau prestò ai poeti, non avrebbe potuto essere anticipata dai fondatori della religione, dai profeti e da tutti gli amministratori del sacro collettivo, laico e clericale, che fanno risplendere una grande promessa nelle loro prediche e nei loro sermoni? Allora, questa vecchia storia dei santi, dei superuomini e semi-dèi, una crisalide in attesa di essere farfalla, una scienza dell'uomo prima del tempo, nel semplice apparecchio di una prescienza sorpresa nel suo risveglio? Il museo dell'Immaginario che andremo a visitare ci convincerà, senza difficoltà: colore che ammirano la sagacia dei resoconti sull'origine non hanno torto, e coloro che ne denunciano le ridicole volgarità nemmeno. Voltando le spalle sia al beato che al burlone, si è scelta qui una terza fazione: sondare il falso-vero delle credenze umane. Per elevarci dal fatto al fattore religioso. Per risalire dall'essere mobile al motore primo. Per capire un po' meglio come si elabora, in ogni tempo e luogo interconnessi, attualità inclusa, il poema del mondo.

Régis Débray, Le Feu sacré, Fayard, Paris 2003 (pag. 19-20-21 trad. mia)


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