Gli sviluppatori indipendenti si son trovati al centro di comunicati stampa e articoli di stampa specializzata. Da dove nasce questo successo?
Non si fa che parlare di giochi "indie" per colmare le lacune delle line up di PlayStation 4 e Xbox One, per ridare centralità al mercato PC, per rilanciare un settore dei videogiochi in apparente difficoltà. Ma cosa si intende per giochi "indie"? Per capire dove inizia il percorso che ha portato a questi giochi come li conosciamo, vogliamo partire dalla storia di quelle che una volta venivano chiamate "produzioni medie". Il concetto non è in realtà molto antico e possiamo farlo risalire a un momento preciso della storia dei videogiochi: l'avvento dei CD-Rom, ossia di memorie di massa molto capienti che richiedevano di essere riempite. Nel momento in cui produrre un singolo prodotto ha significato la realizzazione di una serie di contenuti dai costi sempre maggiori, si è stabilito di volta in volta un picco produttivo, in termini di costi, intorno al quale si è strutturata l'intera industria e che ha definito le diverse fasce dei prodotti. Quindi, per "produzioni medie" s'intendono tutti quei titoli dal costo di produzione proporzionalmente inferiore a quello dei prodotti di punta dell'industria, che in tempi sempre abbastanza recenti hanno assunto la brutta nomenclatura di "tripla A", ossia produzioni dai più elevati valori produttivi possibili in un dato momento storico. Facciamo qualche esempio concreto per far capire meglio. Nel 2010 una produzione media può essere considerata Enslaved: Odyssey to the West, oppure Deadly Premonition, per citare un altro titolo abbastanza noto, mentre come rappresentanti dei tripla A possiamo citare Call of Duty: Black Ops e Assassin's Creed: Brotherhood. Il concetto di valori produttivi è poi relativo alla piattaforma di riferimento. Ad esempio, rimanendo sempre nello stesso anno, un titolo tripla A per sistemi mobile fu sicuramente Infinity Blade, che comunque ha dei costi di sviluppo immensamente inferiori rispetto a un già citato Assassin's Creed: Brotherhood. Per capire quanto fluttuino definizioni del genere, basti dire che nel 2000, appena dieci anni prima, un tripla A per eccellenza poteva essere considerato Diablo II, oppure Medal of Honor: Underground, titoli dalle caratteristiche produttive molto differenti rispetto a quelli del 2010.
Questioni di produzione
I costi di sviluppo di molti giochi degli anni 70/80 poteva essere calcolato in pinte Ma è difficile capire come si stia modificando il mercato se non si comprende come è cambiato lo sviluppo dei videogiochi nel corso degli anni. Nei primi anni del medium videoludico (fine degli anni settanta, anni ottanta e primi anni novanta), i concetti di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo non esistevano. I videogiochi erano spesso realizzati da singoli sviluppatori, o da team di poche persone (due o tre erano più che sufficienti). Possiamo affermare con certezza che lo sviluppo di un videogioco costava davvero poco. Nel peggiore dei casi basta investire poche migliaia di dollari per avere un prodotto, ma spesso i publisher si trovavano tra le mani titoli realizzati da appassionati, che potevano registrare tra i costi solo il tempo speso e qualche birra. Se pensiamo che Richard Garriott iniziò a sviluppare software dentro casa, con un computer regalatogli dal padre, e che in pochi anni divenne una delle realtà più grandi del settore grazie alla saga Ultima, il concetto dovrebbe diventare piuttosto chiaro. Lo stesso padre degli sparatutto in prima persona, Wolfenstein 3D, fu in parte sviluppato a casa di Carmack, tra una birra, un panino e lunghe sessioni di gioco di ruolo cartaceo. Per lunghi anni, il costo di stampa e distribuzione del software fu molto superiore a quello del suo sviluppo, mentre il marketing, a parte alcuni casi, aveva un costo molto inferiore a quello attuale. Soprattutto nel mondo dei computer, bastava farsi pubblicità sulle riviste più importanti e la cosa finiva lì (o quasi, perdonate le necessarie semplificazioni).
Il mondo delle console era leggermente diverso da questo punto di vista: intanto i supporti di immagazzinamento erano le cartucce, che avevano costi di produzione elevatissimi. Inoltre, rivolgendosi a un pubblico spesso molto giovane e meno competente rispetto a quello che frequentava il mondo dei computer, per far conoscere i prodotti era necessario rivolgersi a dei canali di marketing più ampi, tipo la televisione. Comunque, a parte le ovvie differenze, in generale non è sbagliato affermare che se tracciassimo un grafico con i valori dell'aumento del costo medio di sviluppo e del costo di stampa e distribuzione, a un certo punto la prima linea crescerebbe vertiginosamente (nel periodo del già citato avvento dei CD-Rom), mentre la seconda avrebbe un brusco calo nello stesso momento, per poi crollare con l'avvento del digitale. Molti non si rendono conto che se il prezzo nei negozi dei videogiochi è rimasto sostanzialmente identico nel corso degli anni, con solo qualche aggiustamento verso l'alto, ma anche verso il basso (vedi il sistema dei saldi, od offerte come il Plus di Somy che regala giochi completi ai suoi abbonati), è soprattutto per la costante diminuzione dei costi di stampa e distribuzione, oltre che per l'ampliarsi del mercato tradizionale. Ma a un certo punto questo mercato ha iniziato a contrarsi, creando una voragine immensa.Il ruolo delle produzioni medie
Le produzioni medie hanno sempre avuto un ruolo importantissimo all'interno dell'industria. Lì dove le produzioni tripla A hanno sempre puntato a minimizzare i rischi, ossia hanno sempre (o quasi) assunto le forme commercialmente più appetibili, quindi ben note, appiattendosi sulla massa, con la normalizzazione maggiore avutasi negli ultimi anni (basta vedere l'industrializzazione di serie come quella Call of Duty, ma anche Assassin's Creed o Grand Theft Auto), le produzioni medie, invece, sono state la vera terra di frontiera del medium, il segmento di mercato più libero dai condizionamenti economici e, di conseguenza, quello dove si sono spesso concentrate le sperimentazioni di gameplay.
In termini di mercato puro il ruolo delle produzioni medie è stato anche più importante, perché hanno garantito il giusto approvvigionamento di titoli alle varie macchine da gioco, anche nei periodi solitamente morti. È vero che il mercato dei videogiochi è stato sempre caratterizzato da un certo squilibrio complessivo, con pochi titoli che garantivano guadagni, grazie a vendite faraoniche, e mantenevano gli altri, spesso in perdita. Ma vanno considerati diversi fattori che li rendevano comunque sostenibili. In primo luogo non era rarissimo che tra i titoli di secondo piano si producesse qualche successo, inoltre i già citati ridotti costi di produzione, riducevano anche i rischi complessivi dei publisher, che preferivano avere un catalogo nutrito, andando ad aggredire tutti i settori del mercato, piuttosto che lasciare buchi in cui la concorrenza avrebbe sguazzato. Insomma, le perdite erano in parte giustificate dalla necessità di diversificare l'offerta e, soprattutto, dalla possibilità di farlo senza troppa sofferenza economica.Questioni di line up?
Uno dei titoli di lancio del SEGA Megadrive Attualmente siamo abituati ad attribuire il successo o meno di una console alla line up di lancio. In verità si tratta di un mito abbastanza diffuso, che trova pochi, se non pochissimi riscontri fattuali. Sono pochissime le console lanciate con un parco titoli ben nutrito e, paradossalmente, ai lanci più sontuosi in termini di quantità di prodotti disponibili, non sempre è corrisposta la console più venduta. Ad esempio la console Nintendo Entertainment System, o NES per gli amici, fu lanciata con appena tre giochi in Giappone e otto in Europa. Solo in USA il lancio avvenne con la bellezza di diciotto titoli. Eppure si tratta di una delle console di maggior successo della storia ancora oggi, capace di far uscire l'industria dalla crisi che l'aveva attanagliata dopo il crollo di Atari. Il SEGA Master System, altra console di successo concorrente del NES, fece ancora peggio, mettendo a disposizione degli utenti ben due giochi di lancio sui mercati USA e giapponese. Eppure SEGA riuscì a fare meglio dell'Atari 7800, che sul mercato USA fu lanciata con ben undici titoli, dei quali molti di grande richiamo per l'epoca (parliamo della metà degli anni ottanta). Qualcosa di simile avvenne con la generazione successiva, ossia quella Super Nintendo / Megadrive, in cui la prima fu presentata al pubblico con ben due titoli di lancio sul mercato giapponese e cinque su quello USA, mentre la seconda bissò con due titoli in Giappone e appena uno in più al di là dell'Oceano Pacifico. Paradossalmente il Sega Mega-CD fu lanciato con una line up ben più corposa, soprattutto negli Stati Uniti, senza però ottenere grossi riscontri di pubblico. Con la prima PlayStation le cose migliorarono, visto che fu lanciata con ben otto titoli in Giappone e dieci negli Stati Uniti (solo sette in Europa). Il successo della console di Sony fu clamoroso (anche perché la rivale diretta, SEGA, si era dimenticata di far sapere al mondo che intanto stava facendo il Saturn). Nintendo 64 rispose con appena due titoli al lancio americano, ma ottenne comunque un buon successo. Comunque la console con il lancio più rilevante, in termini di numero e qualità dei titoli, fu quello di Dreamcast: l'ultima console di SEGA sbarcò negli Stati Uniti con ben diciannove titoli, tra i quali alcuni fortissimi, in termini di richiamo, come The House of the Dead 2, Monaco Grand Prix, Mortal Kombat Gold, Sonic Adventure, Soul Calibur e così via. L'Atari 2600 fu lanciato anche con questo gioco Eppure l'insuccesso della console fu tale da costringere SEGA a ritirarsi definitivamente dal mercato dell'hardware, lasciando il campo libero a Microsoft con la sua Xbox. Solo PlayStation 2 fece meglio, con ben ventinove titoli, ma arrivò l'anno seguente la console di SEGA e non può essere usata come capro espiatorio per spiegarne l'insuccesso. Ad esempio anche il GameCube aveva una line up di lancio molto nutrita, con circa venti titoli in tutti i territori, ma non ottenne comunque il successo sperato. Lo stesso si può dire della prima Xbox, anche se lì va considerato che si trattava di una new entry e Microsoft doveva ancora riuscire a conquistare il suo pubblico. Pubblico che tributerà a Xbox 360 un incredibile successo di lancio, nonostante la line up non eccezionale in confronto anche a quella che accompagnò l'arrivo sul mercato della sorella minore. Se ricordate riuscì a distanziare la concorrente diretta, PlayStation 3, nonostante quest'ultima si portasse dietro la fama conquistata da Sony con due generazioni di hardware di successo. E veniamo ai giorni nostri. Tra Wii U, Xbox One e PlayStation 4, qual è la macchina che ha avuto il lancio migliore in termini di numero di titoli e di esclusive? Ovviamente quella che sta andando peggio: Wii U, con più di trenta titoli disponibili sin da subito tra i quali scegliere. PlayStation 4 e Xbox One hanno fatto leggermente peggio in termini numerici, ma meglio in termini di vendite. A questo punto, vi starete chiedendo, cosa ci sia che non vada.
L’olio non basta più
L'ultima isola felice? Se per pareggiare i costi di produzione di un titolo ti basta vendere centomila copie, è scontato che sarai più propenso a produrre giochi anche nei primi mesi di vita di una macchina, quando la base installata è sì inferiore, ma allo stesso tempo gli acquirenti sono più desiderosi di nuovi prodotti e ti basta raggiungerne di meno tramite il marketing per fare risultato. Insomma, un milione di PlayStation vendute erano una base installata appetibile per chiunque producesse videogiochi, mentre se PlayStation 4 e Xbox One avessero venduto solo un milione di copie al lancio sarebbero state considerate un flop colossale (notate che ormai si parla di mercato tenendo sempre in considerazione le due macchine più il PC). Cosa c'entrano le produzioni medie in tutto questo? Ancora non ci siete arrivati? Di fronte a una base installata sufficiente a creare un mercato per i prodotti di punta, ossia i tripla A, le produzioni medie hanno sempre dato all'hardware da gioco quella spinta necessaria a renderlo appetibile, diversificando l'offerta. Piaccia o meno, i tripla A non sono in grado di fare numero da soli. Questo meccanismo, che ha caratterizzato il periodo più florido dell'industria, ha iniziato a incepparsi con la generazione PlayStation 2 / Xbox / Gamecube, per rompersi definitivamente con quella PlayStation 3 / Xbox 360. I motivi sono in buona parte riconducibili all'aumento del costo di produzione dei singoli giochi: se nella generazione PlayStation bastava superare le centomila copie per parlare di successo, in quella successiva il punto di pareggio è salito a duecentocinquantamila copie, per raggiungere le cinquecentomila all'inizio della generazione che stiamo archiviando. Ovviamente per quest'ultima le stime sono solo iniziali, perché titoli come Tomb Raider o Resident Evil 6 hanno ampiamente dimostrato che l'asticella del pareggio è schizzata ben oltre il razionale: quando un singolo videogioco deve vendere più di cinque milioni di copie per andare in pareggio, di quale mercato stiamo ancora parlando?
Il risultato di un quadro del genere è stato l'affossamento dell'intero segmento delle produzioni medie, con i publisher che si sono concentrati su poche IP molto redditizie, limitando moltissimo gli investimenti sulle nuove idee. Il motivo è semplice: se come detto in precedenza le produzioni medie si definiscono in rapporto con le produzioni tripla A, allora in proporzione anche il loro costo è aumentato. Parliamo in termini monetari: se nella generazione PlayStation un titolo medio poteva essere prodotto con poche decine di migliaia di euro, oggi richiederebbe comunque investimenti milionari, con garanzie di rientro davvero minime. Pensiamo anche a un altro fattore che non va sottovalutato: se negli anni passati le produzione medie e quelle tripla A erano molto vicine a livello di qualità complessiva, differenziandosi per alcuni elementi di contorno, nell'ultimo periodo il gap è cresciuto enormemente. Facciamo un esempio concreto che riguarda il comparto più caratterizzante delle varie produzioni: la grafica. La capacità del singolo sviluppatore non è più determinante per la qualità tecnica di un titolo tripla A, con lo sviluppo delle varie risorse più simile a una catena di montaggio che a un lavoro creativo. Certo, c'è sicuramente un art director che decide lo stile complessivo, ma un grafico si limita a lavorare sui singoli oggetti che poi formeranno gli scenari, sempre che questi non vengano fatti modellare in outsourcing. Insomma, per ottenere la grafica di un'Assassin's Creed, di un Grand Theft Auto V o di un Bioshock Infinite non ci vuole solo arte, ma ci vogliono soldi per pagare l'immensa mole di elementi necessari a riempire il gioco.L’ascesa degli indie
Chiariamo un principio di fondo: è normale che la voragine lasciata dalle produzioni medie andasse riempita in qualche modo. Nonostante tutto un mercato affamato di produzioni alternative esiste ed è sempre esistito. Soltanto non è più sostenibile il modello classico fatto di prodotti costosissimi e prodotti un po' meno costosi, perché i secondi sfigureranno sempre di fronte ai primi. Per i grandi publisher è diventato più conveniente investire tutto in pochi brand, facendoli diventare dei micromercati in cui attingere il più possibile dai clienti già conquistati (tramite DLC e microtransazioni), piuttosto che puntare su prodotti nuovi e molto rischiosi che negli ultimi anni hanno portato al fallimento un numero sterminato di sviluppatori (ne riparleremo brevemente più avanti). C'era quindi bisogno di qualcosa di completamente alternativo, dai costi nettamente inferiori, ma che fosse accettato dai videogiocatori in quanto tale, senza cercarci dentro i valori produttivi dei tripla A. Dove trovarlo se non nella scena indipendente? Ossia, con un salto carpiato all'indietro, il mercato dei videogiochi è tornato ad attingere idee e prodotti dai garage e dagli studi molto piccoli, le uniche fonti che possono oggi garantire un numero di giochi sufficiente a creare un'offerta appetibile per i videogiocatori. Insomma, le console maggiori hanno iniziato a copiare il mercato mobile, pur opponendo filtri d'ingresso più rigorosi e sensati rispetto agli ecosistemi iOS o Android (che stanno piano piano divorando se stessi).
Quelli che nella generazione Xbox 360 / PlayStation 3 erano visti come "extra", ossia titoli cui rivolgersi quasi con curiosità, ma senza dargli troppo peso, sono diventati il fulcro dell'offerta della varie macchine, sulle quali le uscite maggiori si possono ormai contare sulla punta delle dita e sono sempre più caratterizzate dalla volontà di offrirsi come piattaforme, più che come singoli giochi. Destiny, TitanFall, i Battlefield, i Call of Duty e così via, sono sempre più "servizi di gioco", ossia punti di partenza per spendere altri soldi, che esperienze finite e definitive. Paradossalmente il concetto di videogioco come esperienza, tanto caro alla Sony degli albori videoludici, è rimasto solo nelle esclusive, appannandosi non poco nei titoli multipiattaforma.I numeri della crisi
Per capire la situazione concentriamoci sulla sempre maggiore importanza assunta dai titoli indipendenti nell'industria videoludica. Partiamo da alcuni dati interessanti. Nel 2004 per la sola PlayStation 2 uscirono più di cinquecento titoli (cifra indicativa che tiene in considerazione tutti i mercati e le ripubblicazioni), idem nel 2005, in cui si è registrata un'oscillazione minima. Un calo, non netto, si è registrato nel 2006, anno di introduzione sul mercato di Xbox 360 e PlayStation 3, con poco più di quattrocentocinquanta titoli pubblicati. Di questi, sapete quanti sono state le produzioni indipendenti? Zero. Semplicemente il mondo console, fino alla generazione appena passata, non era accessibile agli sviluppatori senza publisher. Di questi quanti erano i tripla A? Diverse centinaia. Fare una stima precisissima non è possibile, perché bisognerebbe conoscere tutti i costi, anche quelli delle produzioni di punta giapponesi. Ma secondo un calcolo rapido possiamo dire di averne contati quasi trecento. I titoli restanti sono produzioni medie, anche medio-piccole, ma comunque niente di paragonabile a livello di costi a un titolo indipendente. Molte di queste potrebbero essere facilmente confuse con produzioni tripla A, che spesso erano tali solo per la presenza di filmati in computer grafica. Facciamo un lungo salto temporale e veniamo al 2013, l'anno appena trascorso. Prendendo in considerazione il mercato di PlayStation 3, otteniamo dei dati sconcertanti se confrontati a quelli di PlayStation 2. Nell'ultimo anno di vita della console Sony, al netto dei DLC, che fanno numero ma sono legati a un singolo gioco, abbiamo meno di centocinquanta videogiochi pubblicati. Di questi i tripla A sono meno di quaranta (e in alcuni casi si fatica a includerli nell'elenco), mentre le produzioni medie sono quasi zero. Forse possiamo considerare come tali alcuni DLC più strutturati, tipo quelli di Dishonored o Assassin's Creed III, ma non ci sarebbe comunque paragone con ciò che era il mercato fino a pochi anni prima. Come potrete facilmente immaginare, i titoli che non sono tripla A o DLC sono tutti assimilabili nelle produzioni indipendenti, ossia hanno quantomeno dimensioni da produzioni indipendenti, anche se sotto publisher. Ci sono molti più sequel rispetto agli anni presi precedentemente in considerazione, al punto che le nuove proprietà intellettuali si contano sulle dita di una mano. Un discorso analogo si potrebbe fare anche per il 2012, che ha visto un numero solo leggermente maggiore di grosse produzioni immesse sul mercato, mentre i DLC hanno complessivamente superato i titoli stand alone. In compenso il numero di fallimenti delle software house non è mai stato così alto: un dirigente di EA, Richard Hilleman, ha calcolato che a inizio generazione erano centoventicinque gli studi che lavoravano su titoli tripla A, numero che nell'ultimo anno si è ridotto a venticinque. Insomma, il tracollo è evidente e sotto gli occhi di tutti. La next-gen, appena iniziata, non sembra aprirsi alla prospettiva di un ritorno ai fasti del passato, con Wii U che langue in una terrificante crisi di vendite, che sta tenendo lontane dalla macchina tutte le terze parti, e i giochi per PlayStation 4 e Xbox One che sembrano sempre più orientati a offrire servizi online e ad abbracciare filosofie commerciali come quella free-to-play, piuttosto che riproporre esperienze single player di livello.
Il potere delle formiche
Quali sono i vantaggi delle produzioni indipendenti, rispetto alle produzioni tripla A, in un panorama del genere? Cerchiamo di schematizzarle:
- I minori costi di produzione
- I minori tempi di produzione
- La minore incidenza delle prestazioni delle singole macchine sui possibili port
- La vicinanza con i videogiocatori e con la comunità degli altri sviluppatori
- Le minori pretese dei videogiocatori verso i titoli indipendenti
Immaginiamo che i primi due punti siano auto esplicativi per tutti. Una produzione indipendente media è evidentemente meno costa da produrre di un tripla A e richiede tempi di sviluppo/uomo estremamente inferiori. Per realizzarli non c'è bisogno di team di centinaia di persone: spesso uno studio indipendente è formato da due o tre sviluppatori, a volte impegnati su più fronti. In casi estremi ne basta addirittura uno. Il terzo punto merita qualche parola in più, anche se non è difficile da comprendere: un gioco indipendente è più semplice da far girare su tutte (o quasi) le macchine presenti sul mercato, a parte alcuni casi eccezionali, perché non punta quasi mai su caratteristiche tecniche d'avanguardia (sarebbe sciocco volersi confrontare con produzioni multimiliardarie partendo da un budget molto limitato). Gli ultimi due punti sono più articolati ma fondamentali da comprendere, anche perché correlati. La comunità è parte integrante del concetto stesso di indipendenza (sembra un paradosso, ma è così). Lo sviluppatore indipendente che si astrae dalla comunità dei videogiocatori e da quella degli sviluppatori della sua stessa fascia di mercato finisce in un isolamento che può arrecargli solo danni. Intanto l'affermazione nella comunità garantisce un'attenzione ai propri titoli che altrimenti bisognerebbe pagare a suon di marketing, inoltre il dialogo con i videogiocatori consente di smorzarne alcune spigolosità. Nel momento in cui vieni percepito come amichevole e disponibile, è più probabile che ci sia una maggiore propensione a supportarti, sia in termini economici che in termini di passaparola. Ad esempio, il successo di Minecraft è stato dovuto anche all'estrema disponibilità di Notch verso il suo pubblico di riferimento, ascoltato e coccolato, ma lo stesso si può dire per una mod come DayZ, diventata prodotto a pagamento stand alone e lanciato sull'early access di Steam in tempi recenti con grande successo. Gli utenti sarebbero stati altrettanto tolleranti verso i suoi immensi problemi se l'autore, Dean Hall, non fosse stato sin da subito gentile e disponibile con la comunità, costruendosi un'ottima reputazione nel corso degli anni? Comprese le potenzialità della scena indie, facciamo un passo indietro e corriamo in avanti. L'impatto delle produzioni indipendenti, anche su console, è passato dall'essere zero nella generazione PlayStation 2 / Xbox / GameCube; è diventato foriero di successi saltuari nei primi anni di vita della generazione Xbox 360 e PlayStation 3; è diventato centrale negli ultimi anni di vita della stessa e ora è fondamentale per la next-gen, al punto che il lancio di tutte le console maggiori è stato caratterizzato da pochi tripla A e da molte produzioni minori. Aggiungiamo anche che i primi mesi di vita videoludica di Xbox One e PlayStation 4 saranno riempiti soprattutto dalle produzioni indipendenti, visto che i tripla A di alto livello si conteranno sulle dita di una mano, soprattutto quelli con modalità single player ben strutturate.
Il gattopardo
Molti di voi si staranno chiedendo se sia possibile un ritorno indietro, ossia se il mercato potrà mai tornare ad avere una conformazione simile a quella che aveva in passato. La risposta è molto semplice: no. Intanto non avrebbe senso, visto che quel modello è ormai fallito. Vuoi i fattori che vi abbiamo raccontato nell'articolo, vuoi la frammentazione del mercato stesso che non è più circoscritto alle sole console casalinghe e ai PC, ma vede decine di alternative economiche che hanno catturato il pubblico casual, vuoi che ormai si parla di una buona base installata pensando ai venti milioni di pezzi complessivi (Xbox One sommate a PlayStation 4) per produrre titoli tripla A sulle nuove macchine; insomma, lo spazio per le produzioni medie è davvero minimo, se non inesistente. Certo, rimane qualcosa in Giappone, dove però il mercato è sempre più locale e sempre meno internazionale. Come si evolverà il mercato con PlayStation 4 e Xbox One Se vogliamo, possiamo ormai catalogare come produzioni medie tutte le forme di riciclo nate negli ultimi anni: reboot, versioni rimasterizzate di vecchi giochi, remake, compilation con qualche feature extra per attirare i vecchi clienti e così via. Ma anche qui il confronto con il passato sarebbe ingiusto, perché è venuto a mancare completamente qualsiasi tensione innovativa, ormai riservata ai servizi offerti più che al gameplay. Certo, sicuramente anche l'attuale conformazione del mercato andrà in crisi, in un futuro più o meno lontano. Intanto le produzioni indipendenti sono destinate a crescere nei costi, vista la sempre maggiore concorrenza. Inoltre la spaccatura con il settore dei tripla A diverrà sempre più marcata (in fondo sono due visioni del mondo che confliggono, mentre le produzioni medie classiche erano in perfetta armonia con quelle maggiori). Il futuro che si produrrà è impossibile da definire con certezza. Certo è che, come già avvenuto con 360 e PS3, la fine della generazione non condividerà molto con il periodo attuale, se non qualche sigla e qualche vecchio mito del passato, duro a morire nella testa dei videogiocatori.