di Massarello – Pensavo che al convegno di viticoltura “Il futuro del vino… ma con quali varietà?” tenutosi il 10 ottobre presso la Fondazione Edmund Mach di San Michele ci fosse ressa di viticoltori e cantineri, ma di questi ne ho visti pochi, mentre nutrita è stata la presenza di vivaisti trentini dato che l’incontro è stato organizzato da loro col MIVA (Moltiplicatori Italiani Viticoli Associati) per il 41.mo Congresso nazionale. A rendere poi zeppa l’Aula Magna ci hanno pensato gli studenti dell’Istituto che sicuramente hanno imparato qualcosa di utile. L’accenno polemico sulle defezioni ci sta perché da anni ormai 9 viticoltori su 10 in Trentino si sentono ripetere il mantra del dio unico cooperativo (Pinot grigio) per cui non esistono grandi alternative e, di conseguenza, inutile sarebbe stata anche la presenza dei cantinieri (ex enologi degradati a officianti del rito) comprensibilmente dediti agli scampoli di una vendemmia difficile. E se a monte succede questo, a valle è ovvio che non ci si lamenti nemmeno più del reiterato e pietoso risultato delle eno-guide.
Nonostante ciò al convegno di San Michele si sono sentite cose molto interessanti: dall’attualità e prospettive della ricerca genetica in viticoltura (Velasco, FEM), alla tutela di legge per le nuove varietà (Pironti, FEM) fino ai riflessi sul mercato vivaistico influenzato com’è da quello del vino con relatori del calibro di Enrico Zanoni (Cavit) e Mauro Catena (Cantine Riunite CIV). Per chi volesse approfondire, nei prossimi giorni le relazioni saranno disponibili sul sito: www.associazionemiva.com che comprenderanno anche gli interventi di Todeschini (Vivai Padergnone) e Chemolli (PAT) su vivaismo e viticoltura trentini. Claudio Colla, presidente MIVA ha ricordato come il vivaismo in Italia NON faccia parte della filiera vitivinicola (osservazione che dovrebbe far pensare); che a fronte di un potenziale di 400 milioni barbatelle/anno in Italia se ne producano 165 milioni, ma se ne vendano solo 40 milioni; che le varietà riconosciute sono ben 670, ma che forse non bastano ancora perché fra queste, troppo poche sono quelle resistenti ai patogeni. Come dire: se il 75% degli antiparassitari in Italia sono impiegati in viticoltura, sarà meglio che qualcuno si faccia carico di cambiare questo scenario ormai insostenibile. Non per nulla Zanoni nel dibattito finale, ha sottolineato la difficoltà di comunicare il concetto di “sostenibilità”. Todeschini ha ricordato il ruolo preminente che il piccolo Trentino ha nella vivaistica nazionale – preceduto solo da Friuli (62%), Veneto e Sicilia – con ben 11,5 milioni di barbatelle prodotte dalla coop. di Padergnone e da 16 vivaisti privati, costretti peraltro ad operare fuori zona (66% della superficie necessaria) per l’elevato costo dei nostri terreni. Eppure i vivai occupano 2 mila ettari, un quinto di tutto il vigneto trentino! Di più: delle 46 varietà idonee alla coltivazione, l’83% è costituito da Pinot grigio (2 milioni di barbatelle), 300 mila da Chardonnay e poi Merlot; a seguire Pinot nero, Cabernet Sauvignon e Sauvignon bianco. Poche varietà e per giunta destinate alla commercializzazione fuori provincia. Chiusura in gloria per il Pinot grigio che negli ultimi anni ha salvato anche la vivaistica locale. Ovviamente.
Musica diversa quella presentata da Velasco sulle varietà resistenti (a peronospora e oidio) registrate in Italia (Regent r. Bronner b. ed altre 6 far cui Solaris) con le quali si mira a ridurre i trattamenti a due/tre all’anno. Dopo un interesse iniziale per queste varietà la situazione appare oggi stabilizzata: il gusto di questi vini, escluso uno a detta di Catena, non incontra i favori del consumatore per cui le strade da seguire sono forse altre e incocciano col blocco agli OGM. Discorso complesso, questo, che rimbalza dal cervello alla pancia di tutti noi per le implicazioni etiche e morali che comporta. Discorso solo sfiorato, quindi, ma ripreso dall’illuminato prof. Intrieri presente in sala, che ha adombrato una soluzione possibile nei prossimi 5 anni. Infatti, se la metodica tradizionale per ottenere una nuova varietà (resistente) comporta selezioni che durano 20-30 anni, la genomica moderna permette di accorciare i cicli a pochi anni senza invadere il campo vietato degli OGM. Il tutto mantenendo anche i caratteri tipici delle varietà, autoctoni compresi. Uno scenario a dir poco entusiasmante, se lo si vuol vedere in positivo. Per questo, aggiungo, sarebbe importante che viticoltori e cantinieri locali (tornati enologi a tutto tondo) conoscessero lo stato dell’arte e spronassero i ricercatori nella direzione giusta, togliendo il punto di domanda al titolo del convegno. I vivaisti non aspetterebbero altro. Se per contro, il punto di domanda è destinato a rimanere, ha ragione Enrico Zanoni nel presentare il suo rispettabile punto di vista di manager chiamato a risolvere bene e subito: la soluzione è nel mercato statunitense composto da 70 milioni di “Millenial” (fra i 20 e i 37 anni), da 44 milioni di “Generation X” (38-49 anni), da 77 milioni di “Boomer” (50-68 anni), da 30 milioni di “Swing” (69-81 anni) e da 12 milioni di “WW II” (82 e oltre). Fra costoro, il 15% è abituale consumatore di vino, il 29% occasionale, il 21% beve alcolici, ma non vino e il 35% si dichiara astemio. Ma in USA, dice Zanoni, è più facile incontrare un albino di un astemio! Vero è che nei Paesi emergenti la crescita dei consumi è guidata dai vini rossi, mentre rosati e bianchi possono essere portatori di crescita nei mercati maturi. La spumantistica cresce in generale e le nuove generazioni sono aperte a nuovi concept di prodotti (es. red blend). Solo consumatori evoluti e sofisticati privilegiano prodotti di nicchia: territorio-storia-qualità. Fra tutte le slide presentate, mi accontenterei di questa: ci sarebbe spazio per un futuro sereno per tutti gli attori della filiera vivaio-vite-vino-mercato. Rimane solo da capire perché gli oligopoli debbano sacrificare il territorio (Trentino) se al mercato globale questo sacrificio non interessa. Che sia perché infastidisce il confronto con i prodotti di nicchia privilegiati da noi consumatori evoluti e sofisticati?
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