La complessità della situazione politica italiana dopo il voto è sotto gli occhi di tutti. La parola “ingovernabilità” viene evocata in ogni momento come vero e proprio spauracchio, mentre la borsa ha chiuso con un tragico -5%. La domanda che sorge spontanea è se la situazione sia così ingovernabile come sembra, e quali prospettive sussistano per il futuro dell’Italia.
Alla Camera il PD ha una forte maggioranza grazie al Porcellum, mentre al Senato è lontanissimo dai 158 senatori che garantirebbero una maggioranza assoluta. A questo punto, la palla passa al Capo dello Stato. Dopo aver sentito i dirigenti dei maggiori partiti, deciderà cosa fare. La prassi politica vuole che l’incarico di formare il nuovo governo sia affidato al candidato premier della coalizione che ha ottenuto il maggior numero di voti. In questo caso, Bersani dovrebbe presentarsi alla Camera e al Senato e ottenere la fiducia. Oggi non ha i numeri per farlo. E’ dunque costretto a cercare un’alleanza che permetta la formazione di un governo, ricordando che un ritorno immediato alle urne è praticamente infattibile: ad Aprile bisogna eleggere il nuovo Capo dello Stato, ci deve essere un governo.
Se si pensa ai possibili alleati del PD, il cerchio si stringe. L’insignificanza numerica della Lista Civica del premier uscente Monti infatti costringe Bersani a rivolgersi al PDL o al Movimento 5 Stelle. La mia convinzione è che il Partito Democratico si debba rivolgere al Movimento, evitando in ogni modo una qualsiasi intesa con Berlusconi, per una serie di motivi. Il primo è di natura aritmetica: che piaccia o no, il M5S è il primo partito d’Italia, almeno per quanto riguarda la Camera. Costruire una grande coalizione che lo tenesse fuori o, peggio, affidare il governo a un personaggio “super partes” (Giuliano Amato?) che formasse un governo “a scadenza” sarebbe uno schiaffo alla chiara volontà di cambiamento che è emersa dalle urne. A livello politico, una scelta di questo tipo significherebbe un disperato aggrapparsi della vecchia politica ai detriti del naufragio di cui la Seconda Repubblica si è resa protagonista, con un effetto devastante sull’opinione pubblica. Questo governo andrebbe incontro ad un sicuro fallimento nell’operare quelle riforme chieste dagli italiani, e metterebbe l’esito delle elezioni successive nelle mani di un elettorato inferocito dal mancato rispetto della propria volontà.
Infine, la storia ci insegna che ogni mano tesa di Berlusconi all’opposizione (ricordate la bicamerale e D’Alema?) nasconde una trappola. In questo caso, il prezzo da pagare per il supporto del PDL sarebbe molto probabilmente una riforma in chiave presidenzialista, con elezione diretta del capo dello Stato e successiva candidatura di Berlusconi. Uno scenario agghiacciante.
Un’intesa con il M5S sarebbe dunque auspicabile. Per il PD potrebbe rappresentare un’occasione unica, una dimostrazione di autocritica che prenda coscienza degli errori commessi negli ultimi 20 anni. In questa situazione, il compito etico del direttivo PD consiste nel cercare un’intesa di massima su alcuni punti fondamentali con Grillo, farsi votare la fiducia al Senato (in realtà basterebbe anche un’astensione del M5S) e stilare un patto che preveda la durata del governo almeno fino all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Prospettiva fantasiosa? Dipende. Bisogna vedere se i grillini rispetteranno i milioni di elettori che hanno dato loro questa incredibile opportunità e si mostreranno collaborativi, oppure se si arroccheranno sulle loro posizioni a costo di far saltare il banco, sperando in un successo ancora più esteso alle prossime elezioni. Una pericolosa roulette russa sulla pelle dell’Italia.
Dal canto suo, il PD deve mettersi in testa che la stagione della vecchia politica è finita. Se c’è una cosa che va riconosciuta al Movimento è l’essere riusciti a dare vita al Parlamento più giovane di sempre, con molte donne, spazzando via al tempo stesso quegli avvoltoi che da sempre erano appollaiati sulle gradinate di Camera e Senato come Di Pietro, Fini, Marini, Storace, Binetti, Bocchino, Crosetto, Micciché, Lombardo eccetera. O il PD prende atto di questo cambiamento epocale, oppure si condannerà con le proprie mani, ammesso e non concesso che Grillo e i suoi si mostrino collaborativi, almeno su tre o quattro punti fondamentali.
Per la prima volta da tanti anni, c’è la possibilità di tenere Berlusconi e il PDL fuori dai giochi politici nazionali. PD e M5S, non fatevi sfuggire l’occasione.
Riccardo Motti
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