Oculus Rift e Project Morpheus hanno iniziato la battaglia per il mercato dei visori 3D, che si annuncia campale
I visori per la realtà virtuale non nascono con l'Oculus Rift. In verità non nascono nemmeno negli anni '90, quando trovarono la consacrazione nell'immaginario collettivo grazie a film come 'Il Tagliaerbe' (1992) e 'Strange Days' (1995), e quando il mondo dell'informatica sembrava non voler parlare d'altro perché quello "era il futuro". La possibilità di immergersi e vivere in un mondo virtuale perfetto è sempre stato uno dei sogni della razza umana, costantemente alla ricerca di vie di fuga da una realtà percepita come oppressiva e nemica, oltre che limitante. Il termine "virtual reality" risale al 1989, nato dall'informatico Jaron Lanier che per coniarlo si ispirò fortemente alle opere fantascientifiche di William Gibson, scrittore che per primo parlò di "cyberspace". Comunque per trovare le origini dei visori bisogna fare un passo indietro. Infatti, il primo tentativo fatto dalla scienza di creare un apparecchio per la realtà virtuale risale al 1962. Si tratta del Sensorama di Morton Heilig. In realtà era molto più legato al cinema che ai videogiochi, visto che l'azione non era controllata direttamente dal fruitore. La promessa, che si ripeterà per tutti gli apparecchi successivi dello stesso tipo, era quella classica di immergere lo spettatore in un'esperienza globale grazie ad alcuni film (cinque per la precisione), coinvolgendo quattro sensi: vista, udito, tatto e olfatto. Pochi anni dopo, per la precisione nel 1968, viene creato il primo visore per la realtà virtuale inteso nella sua concezione comune. Chiamato "The Sword of Damocles" a causa del suo peso eccessivo che lo obbligava ad essere fissato al soffitto, il visore di Ivan Sutherland consentiva di esplorare delle semplici stante in wireframe. Il primo mondo virtuale interattivo risale invece al decennio successivo, più precisamente al 1977, quando una Aspen virtuale diventa visitabile grazie all'Aspen Movie Map realizzato dal MIT. Ovviamente il dettaglio era molto scarso, ma a noi questo interessa poco. Quello che ci interessa comprendere è come mai, nonostante si tratti di una tecnologia non certo giovanissima, periferiche del genere non abbiano trovato alcun riscontro tra il pubblico pagante. In effetti tutti i tentativi fatti finora di arrivare sul mercato sono falliti miseramente, in modo più o meno plateale, a partire dal Virtual Boy di Nintendo (non proprio una visore per la realtà virtuale, ma sicuramente un concept che dà lì partiva per cercare di innovare). L'immenso interesse per queste tecnologie nato negli anni novanta è scemato alla velocità con cui gli occhialini 3D sono passati dall'essere il futuro del cinema a diventare un fastidio che serve solo a far crescere il prezzo del biglietto. Il paragone non è sballato. La verità è che tutte le periferiche che vanno ad agire principalmente sulla vista hanno finora fallito il compito di soppiantare monitor e televisori. Anzi, non sono riusciti nemmeno ad affiancarli. Perché l'Oculus Rift e i suoi concorrenti dovrebbero riuscire dove tanti hanno fallito? In cosa sono diversi?
Oculus Rift
Parlare di caratteristiche tecniche dell'Oculus Rift fa un po' sorridere a questo punto. Quando abbiamo iniziato a scrivere questo speciale Facebook ancora non aveva acquisito l'Oculus Rift e, quindi, lo scenario era completamente differente, soprattutto dal punto di vista finanziario. Oculus VR era una società relativamente piccola, intorno a cui ruotava un grande interesse soprattutto tra gli appassionati di tecnologia. Ora, invece, è diventata un pezzo di una realtà immensamente più grande. Partendo dal presupposto che una multinazionale non investe due miliardi di dollari per mera filantropia, è chiaro che nel futuro bisognerà aspettarsi un'evoluzione dell'Oculus Rift grazie alle nuove possibilità finanziarie a disposizione, e anche per i desideri della nuova dirigenza, che tenterà sicuramente di legarla al suo core business, ossia quello dei social network. Chi pensa il contrario mente agli altri e a se stesso. Basti pensare che sono bastati i due milioni e mezzo di euro di Kickstarter per far passare lo schermo da 5,6 a 7 pollici e aumentare la qualità generale del primissimo prototipo.
Comunque, fino ad ora sappiamo che il visore della versione commerciale dovrebbe avere una risoluzione complessiva molto elevata (si punta ai 4k). Per ora i sensori di movimento posti sulla periferica, che servono per permettere agli utenti di muoversi nel mondo 3D, sono venti e la nausea causata dall'uso del visore è stata risolta usando uno schermo OLED da 5,6 pollici. Il nuovo Development Kit presentato alla GDC 2014 è stato dichiarato completo al 70% rispetto a quella che dovrebbe essere la versione commerciale dell'Oculus. Ovviamente si tratta di informazioni provvisorie, vista l'acquisizione della società, e tutto potrebbe cambiare già nei prossimi mesi.
Certo, fa un po' riflettere vedere le reazioni indignate, quasi schifate, di molti tra quelli che più di tutti avevano supportato l'evoluzione dell'Oculus Rift. Ad esempio Notch ha dichiarato cancellato il progetto di realizzare una versione di Minecraft dedicata all'Oculus Rift appena saputo dell'acquisizione, per l'odio che prova per Facebook, mentre alcuni baker di Kickstarter hanno annunciato denunce per Oculus VR, che secondo loro aveva un vincolo di correttezza verso quelli che hanno permesso al progetto di non morire nella culla.
Project Morpheus
Com'era ovvio che fosse, l'interesse nato intorno all'Oculus Rift ha attivato i potenziali concorrenti. Già si parla di un visore prodotto da Microsoft e di uno di Valve, ma altri produttori potrebbero essere interessati agli sviluppi del settore, soprattutto in caso di risposta positiva del pubblico. Per ora, comunque, l'unica società ad avere presentato un visore tutto suo alternativo all'Oculus è stata Sony, sempre nel corso della GDC 2014. Leggiamone le caratteristiche annunciate da Sony (che per comodità rubiamo dalla notizia dell'annuncio, che potete leggere qui: link): "I display utilizzati nel devkit sono in grado di supportare la risoluzione 1080p (1920xRGBx1080, 960xRGBx1080 per occhio) e 90 gradi di campo visivo, con il tracking assicurato da una frequenza di 1000Hz, 3 Meter Working Volume, rotazione completa a 360 gradi e allo studio anche il tracking del movimento degli occhi. Lo schermo è un pannello LCD da 5 pollici, mentre l'headset è fornito anche di accelerometro e giroscopio, con connessione a PlayStation 4 via USB e HDMI, al suo interno anche una CPU non meglio identificata al momento. L'audio fornisce una simulazione di suono spaziale intorno al giocatore."
Si tratta di caratteristiche di tutto rispetto, ma, come fatto notare da Carmack (link), è la tecnologia stessa su cui si basano questi visori a essere un problema per una macchina chiusa come PlayStation 4. Il buon John è sicuramente interessato all'argomento, visto che fa parte del progetto Oculus Rift, ma è indubbio che abbia sottolineato un punto interessante della faccenda. Detto nel mondo più comprensibile possibile, i visori per la realtà virtuale ottengono l'effetto 3D sovrapponendo due immagini calcolate in tempo reale dalla macchina e poi inviate al visore. Questo comporta un lavoro di calcolo molto maggiore. Esplicitiamo in modo ancora più comprensibile: a parità di dettaglio, una scena elaborata per un visore 3D è molto più pesante di una elaborata per un normale schermo piatto, perché la stessa deve essere calcolata due volte. Il PC può contare su una potenza di calcolo maggiore rispetto a una console next-gen, oltretutto espandibile alla bisogna, mentre le console, anche se molto potenti, sono bloccate nelle loro caratteristiche e non possono essere potenziate. Ne risulta che un titolo che spinga sull'acceleratore nello sfruttamento delle risorse di PlayStation 4, pur risultando fluido su un normale televisore, girerebbe con molta fatica su un visore per la realtà virtuale. Da questo nasce la considerazione di Carmack, che piaccia o no si fonda su basi razionalissime. Per Sony le soluzioni sono soltanto due: creare giochi esclusivi per il Project Morpheus, ovviamente con una qualità grafica inferiore rispetto ai normali tripla A della sua console, oppure dotare il visore di un chip proprio, anche se in questo caso il prezzo sul mercato della periferica lieviterebbe e non sarebbe indirizzato alle "masse". Insomma, si tratta di una bella sfida per il colosso nipponico, sfida che l'entrata in campo di Facebook rende più rischiosa, che però potrebbe beneficiare, alla stessa maniera, di un visore che essendo legato a doppia mandata con PlayStation 4 potrà sfruttarne al massimo le caratteristiche sin da subito, senza contare gli ottimi studi di sviluppo interni a Sony stessa e una macchina di marketing mai come di questi tempi così forte per il produttore giapponese.
Solo per nerd?
Annunciando l'acquisizione di Oculus Rift Mark Zuckerberg ha allungato il passo delle periferiche per la realtà virtuale. Non è solo una questione di soldi ma, ironicamente, dato l'argomento di cui parliamo, di visione a lungo termine. Diciamolo chiaramente: finora l'Oculus Rift ha affascinato solamente un target molto specifico, quello dei videogiocatori hardcore amanti delle nuove tecnologie, al punto che colossi come Ubisoft hanno dichiarato che avrebbero prodotto videogiochi dedicati soltanto dopo aver visto una diffusione nelle case di almeno un milione di pezzi. Una prospettiva scarsina, se pensiamo ai numeri che normalmente muove l'industria videoludica. Nel messaggio lanciato tramite Facebook, Zuckerber ha spostato completamente la prospettiva sull'Oculus: da visore per videogiochi, a visore sociale che permetterà alle persone di incontrarsi nella realtà virtuale. I videogiochi passeranno dall'essere l'applicazione principale dell'Oculus Rift, a essere una delle tante possibili applicazioni. Guardando a quanto successo con le nostre amate console da quando hanno iniziato a supportare caratteristiche social, tra le quali Facebook stesso, è facile rendersi conto di come si evolverà la situazione, almeno a grandi linee. L'interfaccia utente andrà necessariamente cambiata. La periferica dovrà diventare amichevole per ogni tipo di utenza, perché non sarà più indirizzata a un pubblico specializzato, ma dovrà essere utilizzata anche da chi, magari, non capisce la differenza tra un browser e Bowser. Insomma, il milione di pezzi desiderato da Ubisoft, visti i soldi che hanno iniziato a girare, sarebbe un fallimento clamoroso! Prepariamoci quindi a vedere trasformata anche l'immagine dell'Oculus Rift, attualmente legata ai nerd vagabondi che hanno affollato le fiere di settore per provarlo. Non è difficile vedere un futuro fatto da ragazzi e ragazze casual che si litigano la periferica per vederci un film o una partita, oppure per partecipare a una conferenza sulla gelatina per capelli che si sta svolgendo in un'altra città, in un altro stato, o in un altro mondo (virtuale). Le applicazioni sono davvero illimitate, tutto starà però nel migliorare l'appetibilità dell'Oculus per le grandi masse paganti, il suo nuovo target.
Ovviamente Sony e chiunque vorrà entrare in questo mercato dovrà adeguarsi. Project Morpheus è stata presentata sostanzialmente come una periferica per videogiocatori in concorrenza con l'Oculus Rift pre-Facebook. Ora, improvvisamente, il mercato si è allargato e Sony non potrà stare a guardare, pena il ritrovarsi con qualcosa di già vecchio e limitato per le mani. Con questo non stiamo affermando che Project Morpheus abbraccerà sin da subito la filosofia social, ma sicuramente si inizierà a studiare una strada per seguire l'Oculus in modo da non rimanere indietro di fronte agli inevitabili sviluppi di questo mondo tutto da scoprire.
Pane per le masse
A questo punto rimane da risolvere una sola, grossa incognita: cosa ne penserà il pubblico? Come Wii U ha dimostrato, quando un prodotto che mira a un pubblico molto ampio non trova riscontri tra le masse, il suo destino è abbastanza fumoso (o quasi, non portiamogli sfortuna, suvvia).
Il rischio che i visori per la realtà virtuale facciano la stessa fine è elevatissimo. Il mercato di massa ha dimostrato che per vendere un oggetto contano poco le sue caratteristiche. Lacan direbbe che per vendere qualcosa che esula dai bisogni primari dell'essere umano, occorre suscitare nelle persone il desiderio di niente proprio di ogni forma di consumo compulsivo. Noi vogliamo volare più basso e affermiamo che se Facebook, o Sony o chi per loro non riuscirà a far percepire come "necessarie" le nuove periferiche, ossia se non riuscirà a farle diventare parte dell'immaginario collettivo, determinanti per lo status sociale (un po' quello che riuscì a fare Nintendo con Wii) e imprescindibili per provare le forme d'intrattenimento del futuro, allora falliranno miseramente. Il pubblico dovrà essere nutrito di queste periferiche prima di possederle. Soprattutto bisognerà superare una serie di problemi non da poco che le caratterizzano. Ad esempio dovranno scomparire i problemi di nausea denunciati da alcune persone, limitati dall'uso dei monitor OLED ma non completamente annullati. Inoltre bisognerà renderle il più leggere possibile, pena ritrovarsi con gente dalla cervicale distrutta in un paio d'anni. Staremo a vedere...