Nell’idillio montano del Maryland Angela Merkel ha assaggiato il sapore amaro della sconfitta. O, quanto meno, dell’isolamento. Da quando è la cancelliera della Germania non le era mai accaduto di ritrovarsi a difendere posizioni che nessuno dei suoi partner condivide. È successo al G8 che ieri si è concluso a Camp David con un documento che, pur nella vaghezza dei buoni propositi sulla necessità «imperativa» di «creare crescita e lavoro», rappresenta una chiara smentita della austerity policy che Berlino ha imposto all’Europa e che ha il suo nocciolo duro nel fiscal compact.
A volerlo sintetizzare in una formuletta, il risultato dell’appuntamento dei Grandi a Camp David dice che le politiche di tagli al wellfare e di risparmi selvaggi producono solo recessione. Un effetto che è di drammaticissima evidenza in Grecia, sulla quale dal G8 è venuto «un impegno forte» ad aiuti che le permettano di non uscire dall’euro, ma che non risparmia gli altri stati europei. Germania compresa, almeno in prospettiva. E se la crisi precipitasse contagerebbe anche il resto del mondo. Obama ha un motivo particolare per temere questo scenario, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali che si giocheranno tutte sui dati dell’economia Usa. È anche il nostro interesse nazionale – ha detto Hillary Clinton – che ci spinge a batterci perché ci sia «un ridimensionamento della politica dei risparmi tale che stimoli la crescita». E i grandi paesi non-europei del G8, Giappone, Russia e Canada, si sono schierati, nelle discussioni, dalla parte di Obama e di Hollande.
Non ci sono quindi solo il nuovo presidente francese e l’altrettanto nuovo asse Parigi-Washington, reso plasticamente dalle cordialità e dalle convergenze nell’incontro alla Casa Bianca. Ormai è evidente che c’è un largo fronte mondiale che fa pressione su Frau Merkel e che esso si fonde con una opposizione interna che si fa sentire con scelte e programmi alternativi, come quello contenuto nel documento dal titolo «L’uscita dalla crisi» presentato giorni fa. Quanto tempo ci vorrà perché la cancelliera ceda qualcosa delle sue posizioni da campionessa mondiale del rigore? A Camp David non ha dato la benché minima indicazione di resipiscenza. Anzi, se possibile si è percepito un suo irrigidimento sulla necessità che tutti i paesi applichino alla lettera e «senza deroghe» i dettati del Fiskalpakt, compresi quelli che stabiliscono rigidamente i criteri dell’abbattimento dei debiti sovrani. Uno schiaffo a Mario Monti, il quale chiede che dal calcolo del debito non siano computate le spese per gli investimenti e le emergenze. Il nostro presidente del Consiglio, invece, ha incassato la «forte convergenza» che in materia di crescita è stata registrata con Hollande nell’incontro bilaterale di ieri.
Londra con Berlino
Se all’isolamento la cancelliera reagisce in modo aggressivo, va detto che ha in mano due carte preziose: la prima è che il fiscal compact, la cui ratifica corre pericoli, è comunque un trattato internazionale stipulato tra 25 governi e ha già prodotto risultati, come l’adozione in Costituzione da parte di diversi stati (compresa l’Italia) di quell’obbligo al pareggio di bilancio che gli economisti considerano una insostenibile e sciocca autolimitazione politica. La seconda carta del governo tedesco è la convergenza con Londra. Anche David Cameron ha giocato, a Camp David, nel ruolo di interdizione alle spinte di Obama e di Hollande. Il premier britannico ha bloccato, per l’ennesima volta, il discorso su una tassa sulle transazioni finanziarie che avrebbe un duplice effetto positivo: quello di frenare le frenesie dei mercati e quello di mettere a disposizione dell’Unione un bel gruzzoletto di non meno di 60 miliardi di euro. Si tratta di vedere se questi aut aut permetteranno a Frau Merkel di sfuggire alla morsa. Prima verifica, mercoledì prossimo al Consiglio europeo tratto da unità.it 20 maggio 2012
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