La piccola mole di questo librino è menzognera.
Vi suggerirebbe una lettura rapida, da archiviare, magari, in tempi brevi. Come lo stile dell’autrice – la tedesca Jutta Richter – semplice apparentemente, anche scorrevole.
Ma bastano poche pagine per accorgersi che “Il gatto Venerdì”, edito da Beisler e vincitore, tra le altre cose, del Premio Andersen 2007 nella categoria “6/9 anni”, è un libro denso.
“Dall’alto peso specifico” direbbe un chimico; intenso e ricco di spunti di riflessione, dico io pur rendendomi conto che, più che principi di pensiero, il romanzo offre pennellate, piccoli affreschi di concetti, anche difficili, anche importanti, che restano sospesi tra la forza del loro carico e la lievità, quasi naturale, della loro resa.
Una storia filosofica? Un racconto simbolico? Forse, magari anche.
Ma prima di tutto una voce d’infanzia pronta a narrare di solitudine e conquistata indipendenza, di fantasia e interpretazione del reale – là dove, come per magia, i due aspetti si fondono – , di desiderio d’affetto e impeti di ribellione, di paure e bisogni grandi come l’infinito, e di verità profonde.
La piccola protagonista del romanzo vive un disagio comune a molti bambini: genitori emotivamente distanti, insegnanti autoritari e poco disposti alla comprensione.
Ma piuttosto che cercare la complicità di qualche compagno, Christine elegge a suo confidente un gatto, un piccolo gatto spelacchiato che incontra per la via alla mattina, quando si reca a scuola.
Il gatto – che non si chiama affatto Venerdì – è sornione e irriverente, libero come un gatto di strada, ma conosce il mondo e la vita e volentieri dispensa le sue bizzarre verità.
Tutte le mattine la piccola non può rinunciare a intrattenersi con il suo amico e fidato gatto, riflettendo sull’infinito, sul male inflittosi volontariamente che rende vittime, sul come imparare a contare per soddisfare le brusche richieste paterne, sulla compassione e sulla mancanza. E sempre arriva tardi a scuola ed è sgridata e punita.
Ma grazie a Venerdì comprende anche il senso della ribellione, della libertà e del rimanere fedeli alle proprie idee, realizza che la scuola non sempre insegna la vita e che è bene interrogarsi criticamente anche sulle ideologie preconfezionate, come la religione.
Pensieri del gatto o pensieri della bambina? Lampi dell’infanzia indubbiamente, che non è quell’età semplice e immacolata che noi adulti amiamo credere, bensì un crogiuolo di dubbi e domande, di interrogativi grandi e ardite, a volte disarmatamente corrette, interpretazioni.
Un libro che predilige la pacatezza alla vivacità, quotidiano e immaginifico, a tratti quasi onirico, illogico e logicissimo come solo i bambini sanno essere.
Malinconico, sicuramente, esistenziale, molto. Un pizzico di poesia e una buona dose di filosofia, perché l’infanzia, si sa, è anche questo.
I brevi capitoli sono intervallati dalle belle tavole di Rotraut Susanne Berner che riproducono , in diverse pose e situazioni un simpatico e un po’ beffardo gatto, che sembra saperne sempre un po’ di più di chi osserva, come fosse un piccolo padrone del mondo.
Un gatto libero, soddisfatto, ma anche un po’ solo, lunatico, pungente e bislacco come un Venerdì.
(età consigliata: dai 9 anni)
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