Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (vent'anni dopo)
Creato il 25 maggio 2012 da Spaceoddity
È un'emozione inspiegabile, per me, ritornare su Il Gattopardo (1957). Frugo in quello che ero da adolescente, ormai (ahimè!) vent'anni fa. Vedo i segni sulle pagine sdrucite, consunte, i segni sulle frasi più inverosimili (cosa mi passava per la testa, allora?, perché non ci si chiede mai cosa passi per la testa, adesso), mentre altri passaggi lisci, come se non significassero nulla, in fogli che vanno via da soli; il dorso quasi scollato, un segnalibro lasciato malinconico all'ultima pagina: sono tutti i segni dei libri che non si conoscono mai una prima volta. A un certo punto, dici di volerlo rileggere, ed è come quando affronti un classico che da piccolo ti raccontavano epurato delle parti più delicate, un classico che ti si spalanca all'improvviso con tutta la sua potenza.
Non la sua bellezza. Ora, come quando ero al liceo, rimango convinto della superiorità netta dei racconti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa sul romanzo che invece l'ha reso celebre. E rimango perfino più affezionato di allora allo sguardo de I Viceré di De Roberto sulla Sicilia nel trapasso dal regno borbonico all'Italia unita. Ma, a prescindere dall'iniziale refrattarietà, dalle mille resistenze (ho dovuto lasciarne la lettura ai miei alunni per costringermi a superarle), ho scoperto un libro che parla profondamente di me. Quanta vita è passata da allora? Non vent'anni, credo qualcosa di molto più importante.
Nell'aristocratico, perplesso, vitale, sensualissimo principe Fabrizio Salina ho avuto alcune fugaci visioni di quello che ho fatto io. E in Tancredi, il nipote, ovvero il figlio più amato, ho sentito vibrare il mio modo di amare, di essere amico, di essere cittadino, ribelle e passivo, inebriato di sogni. In Concetta, nella tradita Concetta, indovino senza fatica le vibrazioni di ciò che io sento come taciturno e violento desiderio carnale. E in Angelica, il miracolo di grazia nella terra desolata della borghesia in ascesa della provincia sicula, il mio amore per le forme e la bellezza dove meno te lo aspetti, la meraviglia che brami, fosse solo per consumarla.
Il Gattopardo è romanzo di straordinarie vibrazioni erotiche, pulsazioni emotive, malinconie sottilissime e di cose e ricordi grossolani, di un mondo che forse non lo merita. È anche un libro dove la capacità analitica dei dialoghi è, sì parziale, ma sbalorditiva: Fabrizio Salina ha l'aria di essere stato molto amato da Tomasi di Lampedusa, o perlomeno di essere stato scrutato dai suoi occhi senza pietà e senza impudicizia. Tancredi, invece, il bel ragazzone infiammato di alibi e di ideali che lo divorano con la voracità della fama e degli ormoni, ha le fattezze del giovane che si ama contro ogni logica e protocollo, per il puro desiderio di trasgredire le necessità della casta e di sé stessi.
Lo sguardo un po' incantato di Tomasi di Lampedusa sa di entrare in un mondo che non esiste più e si aggrappa alla modernità da cui sorvola la Palermo del secondo Ottocento: proprio dalla vita ormai inconciliabile del secondo dopoguerra. Tutto appare vecchio, segnato dalle tarme, dal tempo, dal chiuso, con un senso della morte - con una necessità del senso della morte - che senz'altro mi commuove. Fabrizio Salina è maturo e perfino prossimo alla morte senz'essere vecchio che per poco, vi è in lui virilità senza maschere, burattini o marionette eroiche: Il Gattopardo è una storia di uomini in un mondo in cui essere uomini è essere maschi. Il celeberrimo ballo nel quale il Principe danza con Angelica non sarà mai il ballo di Anna Karenina, la Sicilia di questa storia è sovrastata da un universo patriarcale e tragico, da passioni e desideri più forti dell'amore e della disillusione.
L'ascetico zio, con lo sguardo rivolto al cielo e alle sue stelle, l'unica certezze, l'infatuato nipote, funambolo giocoliere di parole che cambiano e di fatti eterni come il potere; lo stupito Chevalley che offre a Salina - e si vede rifiutare - un posto in Senato, con tutti i suoi buoni argomenti e nessuna ragione accettabile; le vorticose e segrete carrellate di Tancredi e Angelica in un mondo che non esiste più, come un castello di Atlante sfollato dopo una catastrofe; la visita di padre Pirrone al mondo com'era un tempo e come sarà per sempre: sono tutti momenti di una grazia autentica, da cui capisco la fama del romanzo in tutto il mondo. Con la speranza, fra vent'anni, di leggerci ancora un po' di me. O magari crescerò abbastanza da leggerci anche dell'altro.
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