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"IL GATTOPARDO" e "L'ETA' DELL'INNOCENZA"

Creato il 21 gennaio 2011 da Peterpasquer
differenze stilistiche in Luchino Visconti e Martin Scorsese.

L'amore di Martin Scorsese per il cinema italiano è cosa risaputa da tempo. Non è solo una questione di appartenenza culturale, di radici, bensì vera e propria passione per un universo cinematografico che ha regalato pagine indimenticabili e di prima importanza al grande libro della settima arte. L'età dell'innocenza”, film che reputo tra i capolavori di Scorsese, rappresenta in questo senso non solo l'emblema del suo talento artistico (adesso, nonostante gli ultimi successi, notevolmente sbiadito) ma anche la prova lampante di questa forte filiazione con la storia del cinema italiano. Da un lato un sincero omaggio a uno dei più rappresentativi film di Luchino Visconti, “Il gattopardo”, dall'altro una raffinata operazione attraverso cui coniugare quel classicismo con una (post)modernità linguistica di cui è tra i più illustri esponenti. [*]Entriamo nel merito.Come “Il gattopardo”, “L’età dell’innocenza” gode di una sontuosità scenografica e di un'attenzione per i costumi fuori dall'ordinario. Identico discorso per l'impatto formale che le due pellicole hanno sullo spettatore: inquadrature “piene”, ricche di dettagli, sature di colori e allo stesso tempo ben bilanciate da un punto di vista figurativo. Congruenze volute, come già ribadito, che tuttavia non escludono le evidenti differenze stilistiche sul piano della narrazione. In Visconti riscontriamo un montaggio ritmicamente più composto, atto a sottolineare i luminosi paesaggi siciliani e i più oscuri interni delle abitazioni grazie alla complicità di carrellate e panoramiche che quasi carezzano questi luoghi. In Scorsese no. L’incalzare delle sue inquadrature, benché in modo più calibrato che in opere precedenti, investe la nostra attenzione introducendoci con forza nel (melo)dramma in atto. Se ne “Il gattopardo” siamo più padroni del nostro sguardo, che possiamo posare ora “qui” ora “là” come davanti ad una serie di dipinti, ne “L'età dell'innocenza”, questa libertà si ridimensiona: è Scorsese che ci obbliga a guardare “qui” o “là”. Carrellate veloci e zoom improvvisi, dissolvenze incrociate e scritte in sovrimpressione, sono questi gli elementi che – malgrado l'accostarsi al classicismo viscontiano – segnano lo stile del regista italoamericano. Verrebbe da definire l’uno di un fascino più teatrale (Visconti è stato anche un grande regista di teatro), l’altro più strettamente cinematografico. D’altronde, gli stessi spostamenti dei personaggi all’interno delle inquadrature lasciano pochi dubbi circa la formazione dei due registi. Ne “Il gattopardo” i protagonisti, spesso a figura intera, si spostano come all’interno di una composizione pittorica: i precisi movimenti di macchina, non arrivando mai al virtuosismo di Scorsese, non tolgono niente alla recitazione. Ne “L’età dell’innocenza”, invece, la macchina da presa agisce assieme ai personaggi, catalizza su di sé l'onere del racconto, alleggerendo la recitazione con un controcanto utile ad amplificare il non-detto.In sintesi, se Visconti “mostra”, Scorsese “svela”. Indubbiamente non è solo il Visconti de “Il gattopardo” a ispirare Scorsese. Tutto l’incipit de “L’età dell’innocenza” è un dichiarato omaggio al Visconti di “Senso, altra magnifica pellicola in costume. L’uso del melodramma in apertura non può non rimandare al film ispirato alla novella di Camillo Boito, così come le altre due successive inquadrature: quella relativa al primo incontro tra il giovane avvocato e la bella Ellen Olenska/Michelle Pfeiffer (molto simile per luogo e circostanza a quella tra Livia Serpieri/Alida Valli e il giovane Mahler/Farley Granger), e quella caratterizzata dall’improvvisa carrellata in avanti che, dalle quinte del palcoscenico, ci trascina innanzi al pubblico in sala dopo aver scartato i due cantanti lirici (un effetto simile a quello ottenuto da Visconti con la famosa panoramica che ribaltò la prospettiva del teatro La Fenice). 


[*] volendo costringere il cinema di Scorsese in una categoria si preferisce inserirlo in quella del "moderno" e non del "postmoderno". Tuttavia, ne "L'età dell'innocenza", ravviso elementi riconducibili al postmodernismo: più che le citazioni viscontiane, l'artificio linguistico che sposta il piano della percezione dal reale al finzionale (come il caso delle lettere in sovrimpressione) e la "licenza" riguardo il dipinto di Khnoppf datato 1896 quando il film è invece ambientato nel 1870. Un suggerimento allo spettatore circa l'amore e la situazione "fuori tempo" della contessa Olenska.

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