Virtualmente salvi, certo. E' vero che la sicurezza matematica non c'è ancora, ma la classifica sanno leggerla tutti, così come l'andamento lento di chi sta sul fondo. Insomma, bene, bravi, bis, ma, cari ragazzi del Genoa Cfc, la vita, anzi il campionato, continua. Eppure non sembrerebbe, perché il Grifone non c'è più. Sotto la patina di proclami bellicosi e ottimisti da parte dei giocatori (durante la settimana e lontano dal campo, preferibilmente in occasione di fiere, feste e/o manifestazioni assortite, o meglio ancora via Twitter...), sotto l'ingannevole velo di autocompiacimento per le incoraggianti prestazioni sfoderate contro grandi (Juventus) o ex grandi (Milan), c'è una cruda realtà fatta di cinque sconfitte nelle ultime sette gare, di tre k.o. consecutivi nelle ultime uscite, e di un finale di gara da... radiazione dall'albo del calcio, nella sciagurata trasferta in casa del Torino. REBUS - Il ruolino di marcia recente dovrebbe già essere sufficiente a gettare acqua sul fuoco dei fin troppo facili entusiasmi. In realtà il Genoa è di nuovo un rebus. Un rebus diverso da quello, amarissimo e indigesto, delle ultime stagioni, vissute nel segno della modestia tecnica e sul filo del precipizio, ma pur sempre un mistero. Scrivo a caldo, dopo l'assurda sconfitta dell'Olimpico torinese. Assurda ma non sorprendente, per chi conosce bene pregi e difetti rossoblù; non si contano, infatti, i punti persi quest'anno dalla squadra di Gasperini negli ultimissimi minuti di gioco, quando non in pieno recupero: prima di oggi ci sono state la punizione in extremis di Pirlo, il rigore in extremis di Paloschi e, andando a ritroso, le prodezze in extremis dell'Atalantino De Luca e del cagliaritano Sau: vittorie o pareggi che, nel giro di pochi secondi, gli ultimi a disposizione degli avversari, si sono trasformati in cocenti sconfitte. Basterebbe questo a delineare un chiarissimo problema di tenuta mentale della squadra, che non è quasi mai in grado di gestire un vantaggio minimo o comunque una situazione di favore; non è in grado di far girare la palla, di tenere ritmi bassi, di spezzare il gioco, di stringere le maglie difensive, oppure di continuare ad aggredire gli avversari, di pressarli per tenerli lontani dall'area; non è in grado, alle corte, di mantenere fino in fondo quel pizzico di concentrazione necessaria a non passare, nel giro di un minuto, da uno 0-1 a un 2-1: quella solidità mentale che qualsiasi compagine di Serie A, anche la più rabberciata, dovrebbe avere. Come sia stato possibile consentire a Immobile e a Cerci, fino a quel momento inconsistenti, di arrivare al tiro con tale irrisoria facilità nei concitati istanti finali, rimarrà un mistero ben poco gaudioso. Non è questione di fortuna: le partite durano 90 minuti più recupero e vanno giocate fino in fondo, segnare negli ultimi secondi vale esattamente quanto farlo al 13', al 27' o al 73'. TRAGICOMICO - Cose da Genoa, dicono i tifosi. Balle: sono, semplicemente, cose da squadre immature, modeste, lacunose. Però pensavo di non doverle più vedere, certe scene tragicomiche. C'è un precedente che solo chi è dotato di memoria di ferro può ricordare: un Treviso - Genoa, in Serie B, torneo 1997/98: liguri che arrivano in vantaggio di un gol al novantesimo e che, al termine dei tre minuti di recupero, si ritrovano scavalcati e sconfitti con lo stesso punteggio di poche ore fa. Ma quello era un Genoa in gravi ambasce, il Genoa che Spinelli aveva ceduto a Gianni Scerni, avviandone un quinquennio da incubo sul piano calcistico e finanziario. Quello di oggi è un club discretamente solido (checché ne dicano i profeti di sventura in servizio permanente effettivo sui giornali, personaggi che si atteggiano ad esperti economisti senza avere la necessaria competenza specifica), con una rosa di giocatori di buon livello, alcuni addirittura nazionali, altri che nelle varie rappresentative ci sono stati nel passato, altri ancora che vantano curricula di tutto rispetto. Eppure, l'approccio è troppo spesso troppo soft, accademico, privo di "garra", come si dice in Sudamerica.
QUALE SUPREMAZIA CITTADINA? - Hai voglia a cianciare di supremazia cittadina: questa squadra è riuscita nell'impresa di farsi recuperare dalla Samp la bellezza di nove punti, a far data dall'esordio di Mihajilovic sulla panchina blucerchiata. Nulla è compromesso, ma il trend a questo punto pare purtroppo ben definito. La squadra non reagisce, poche storie, e manca di concretezza, di cattiveria: quando gioca bene spesso e volentieri perde, quando gioca male perde sempre e comunque. Sul Genoa in versione Gasperini mi sono più volte espresso in termini lusinghieri, il blog me ne è testimone: ma nell'ultimo post sull'argomento, dopo l'ingiusto capitombolo con la Juventus, avevo anche ammonito che un futuro di buon livello non può essere edificato sulle "gloriose sconfitte", che per crescere occorre mantenere intensità agonistica e di gioco, trovare cattiveria e pragmatismo anche nelle partite in apparenza più abbordabili. Mentalità da squadra adulta, in sintesi, e ovviamente risultati, perché, non è un mistero, vincere aiuta a vincere, crea entusiasmo e convinzione; altrimenti, concludevo, il radioso futuro vagheggiato dai tifosi è destinato a rimanere una mera ipotesi, e nulla più. IMMATURI - Ecco, al momento le cose non hanno preso una piega diversa da quella temuta. Il Genoa, domenica dopo domenica, si sta confermando squadra immatura, incostante, inaffidabile, troppo preda di sbalzi di umore e di vuoti di memoria, di ripetuti black out agonistici, per poter ambire a un salto di qualità. Dopo alcune prove positive, si affloscia come un soufflé mal cotto, si adagia su inesistenti allori. Può darsi che, in questo senso, Gasperini e la società stiano avendo le risposte che desideravano: si lavora per il futuro, è il leit motiv di queste ultime settimane. Il tecnico, si è scritto, userà le ultime gare della stagione per mettere alla prova tutti gli elementi della rosa, anche quelli che han giocato meno, per vedere chi meriterà la conferma e chi no. Sarà. Fosse davvero così, gli esiti fin qui emersi non sono incoraggianti: senza i lungodegenti Antonini, Matuzalem e Kucka, senza le prodezze sotto porta di Gilardino e quelle fra i pali di Perin, questo è un team che pare davvero in balìa degli eventi, leggerino tatticamente e caratterialmente, nel quale i tanti giovani promettenti non trovano adeguato sostegno in veterani fuori giri (su tutti Burdisso, accolto come un dio e fin qui autentica delusione del mercato invernale: altro che nazionale argentina...). PRESENTE E FUTURO - Ma poi, ha senso sperimentare a campionato in corso, col rischio di smarrire coesione, linearità tattica e consistenza qualitativa, collezionando figure barbine? Il Grifone aveva già destato indignazione per l'orrendo secondo tempo del Bentegodi con l'Hellas, ma oggi ha toccato il fondo, avendo evidentemente creduto che il gol di Gila rappresentasse il triplice fischio dell'arbitro. Tutto questo sarebbe accettabile se fosse la garanzia dell'esistenza di un vero progetto per il 2014/2015: ma è lecito attendersi una cosa del genere, da una società che negli anni ha avuto proprio negli stravolgimenti di mercato il suo tratto distintivo?
E' pur vero che a partire dall'estate scorsa qualcosa è cambiato, pare esserci una strategia un po' più lineare, una volontà di costruire qualcosa di più solido e duraturo, e Gasperini sembra davvero voglia farsi garante di un discorso a lunga scadenza, ma nel calcio di oggi, soprattutto per realtà medio piccole come quella genovese, parlare di giocatori sotto esame per il futuro, dire "vediamo come gioca questo, e se va bene ce lo teniamo" non ha molto senso: i calciatori vanno e vengono quasi a loro piacimento, basta un procuratore un po' insistente o una società un po' più danarosa che bussa alla porta, ogni stagione occorre ricominciare quasi daccapo. Questo vale a maggior ragione per i campioni: che senso avrebbe, ad esempio, pensare di costruire qualcosa attorno a Perin e a Gilardino (sperando caldamente che restino, sia chiaro), quando nemmeno la Juve è sicura di poter trattenere Pogba e Vidal? Tutto questo, sorvolando sul fatto che non è comunque dalle gare di fine stagione, senza grossi traguardi in palio, che è possibile valutare la reale caratura di un pedatore. Insomma, sia nelle stanze societarie, sia in panca, sia in campo, questo finale di stagione andava, anzi, va gestito diversamente, con più realismo e minore "strabismo", nel senso che non credo sia impossibile tenere un occhio alle esigenze di prospettiva e un altro occhio a quelle immediate. Il campionato va onorato fino in fondo. Non ci sono più stimoli? Allibisco. Tre anni fa era bastato poco: a salvezza raggiunta, Preziosi chiese di battere tutte le squadre in lotta per non retrocedere (Brescia, Lecce e Samp), in modo tale da non creare sospetti o anche solo dubbi sull'impegno dei rossoblù, e i ragazzi di Ballardini eseguirono, diligentemente. Quest'anno il piccolo derby cittadino non basta, come motivazione?