Alla stazione di Famagosta, periferia sud di Milano, si arriva al mattino presto. Si parcheggia la macchina e si prende la metropolitana per andare a lavoro. Le persone sono tante, vanno di fretta e guardano in basso, prese dai propri pensieri oppure semplicemente assonnate. Scendono le scale a chiocciola che dal parcheggio a piani porta sotto terra, verso i treni. Nel tragitto si passa davanti alle macchinette automatiche: servono per fare il biglietto della metro o l’abbonamento, o per saldare il conto del parcheggio a fine giornata.
Queste macchinette sono presidiate da un signore. Sta lì davanti e soccorre l’utente in difficoltà tra le varie tipologie di biglietti (ordinario urbano, a tempo, giornaliero, abbonamento settimanale/mensile), mettendo a servizio delle persone la sua profonda conoscenza dello strumento. In una mano tiene un bicchiere di carta, di quelli del caffè take-away. Serve per la mancia. L’altra mano l’appoggia ad una stampella. E’ per questo che io e Gabriele, il mio ragazzo, l’abbiamo affettuosamente soprannominato Stampi.
Gabri passa da lì tutte le mattine e le sere. Stampi è sempre là, ligio al dovere, per dare indicazioni alle persone col suo accento slavo: “Prego, da questa parte!” “La numero 3 è libera!” “Per il biglietto giornalieri cliccare qui” e talvolta allunga il sapiente dito sulla tastiera, per schiacciare il tasto giusto. Qualcuno si allontana impaurito. Qualcuno saluta e lascia la mancia. Qualcuno lo ignora.
Stampi sta alle macchinette anche nel fine settimana. Per questo l’ho potuto conoscere anche io. Quando prendiamo la metro per andare in centro, io e Gabri ci fermiamo a fare il biglietto. “Ciao amico”, dice verso Gabriele, e i baffetti neri si alzano sul sorriso mentre fa un piccolo inchino. “Biglietto giornalierio?” chiede rivolgendosi a me. Quando gli lascio i 20 centesimi, con abile gesto passa il bicchiere nella mano che tiene la stampella, così ha l’altra mano libera per farmi il baciamano.